Cattolica è pronta a prendere provvedimenti contro Bpm, tra diffide e conta dei danni. L’assicurazione veronese è pronta a chiedere alla banca oltre 500 milioni di euro di danni. Ma facciamo un passo indietro per capire come si è arrivati a questo punto: il 15 dicembre la banca guidata da Giuseppe Castagna ha chiesto, cogliendo tutti alla sprovvista, di esercitare l’opzione per riacquistare il 65% delle joint venture di bancassicurazione Vera Vita e Vera Assicurazioni in mano a Cattolica.
Forse l’idea della banca era quella quella di liberarsi di qualsiasi vincolo assicurativo in vista di possibili unioni (Bper potrebbe essere nel mirino): la motivazione per la decisione starebbe nel presunto «cambio di controllo» di Cattolica, dopo l’ingresso col 24,4% delle Generali, ma in una lunga lettera-diffida, la compagnia guidata dall’ad Carlo Ferraresi ha ribattuto definendo «priva di ogni fondamento» l’opzione esercitata da Piazza Meda.
Nonostante i soci di Cattolica abbiano deliberato la trasformazione da cooperativa in Spa, questa entrerà in vigore solo il primo di aprile. Fino ad allora quello del Leone «resta un voto capitario». Ma non finisce qui, la compagnia assicurativa sottolinea come «proprio il contratto tra noi intercorso dispone che» l’opzione «non può essere esercitata ove vi sia una trasformazione di Cattolica, appunto, in Spa».
Inoltre la lettera pone l’attenzione sugli scostamenti al ribasso (tra il 15,8% e l’83,9% a seconda dei rami) della raccolta assicurativa delle joint venture tra obiettivi e consuntivo, «un andamento del tutto insoddisfacente» che genererebbe, ragionano quelli di Cattolica, circa 50 milioni di penali da mancati obiettivi. A queste si aggiungono adesso altri 452,18 milioni di danni, che sono la differenza tra quanto Cattolica ha investito due anni fa e quanto oggi si vedrebbe riconoscere da Banco Bpm.
I giochi sono fatti, Cattolica concederà 7 giorni di tempo a Bpm per ripensarci, altrimenti la parola passerà agli arbitri.