Nel giorno della celebrazione della Giornata Mondiale dell’Acqua, in cui l’Onu presenta nel suo rapporto annuale una stima dei danni economici causati dagli sprechi e si appella al mondo intero affinché venga dato il giusto valore a questo bene inestimabile, a Vicenza si torna in Tribunale per il processo Pfas, a oltre 50 anni di inquinamento.
La storia infatti parte da lontano, quando a Trissino, negli anni Sessanta, alcune aziende iniziarono a produrre degli acidi perfluoroacrilici per impermeabilizzare i tessuti e, solo a distanza di decenni, dopo approfondite ricerche e indagini emerse l’inquinamento più vasto d’Europa a causa di queste sostanze altamente inquinanti per l’ambiente e nocive per la salute.
Al centro c’era un’azienda chimica, la RiMar, (che si occupava di ricerca per il gruppo tessile Marzotto), che nel 1988 venne rilevata da EniChem e Mitsubishi, che le cambiano il nome in Miteni, (Mitsubishi ed Eni), poi nel 1996, Mitsubishi rilevò il 100% delle azioni. Nel 2009 venne nuovamente ceduta ad International Chemical Investors group, Icig. Per poi venire dichiarata fallita nel 2018.
Lo scorso ottobre al tribunale di Vicenza è iniziata l’udienza preliminare del processo per i reati di disastro ambientale e avvelenamento delle acque destinate al consumo.
Oggi il giudice Roberto Venditti dovrebbe pronunciarsi sull’accorpamento del fascicolo principale, quello appunto sul vasto inquinamento da Pfas, con il secondo troncone, quello sulla contaminazione delle falde acquifere da GenX e C604 e quello sul fallimento, dichiarato nel 2018, della Miteni Spa, di Trissino. La procura di Vicenza infatti solleciterebbe un unico grande processo. Nell’udienza successiva, verranno decisi gli eventuali rinvii a giudizio.
Tra le parti civili, si è costituita anche la Regione Veneto, per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale per le spese sostenute in ragione dell’inquinamento e del danno arrecato alla salute dei Veneti.
Erano state organizzate diverse manifestazioni di protesta e di mobilitazione, “un presidio straordinario per la giustizia ambientale”, da parte di associazioni ambientaliste e realtà come “Le Mamme-no-Pfas”, ma come ha fatto sapere Michela Piccoli, “l’emergenza sanitaria e le restrizioni imposte dalla zona rossa, ci hanno portato a rimandare”.