Oggi il consiglio socio istituzionale di Acc inoltrerà una lettera-appello al Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi, affinché possa prendere in mano il dossier ItalComp, “perché è indispensabile che il Governo si esprima sulle politiche industriali del settore dell’elettrodomestico”.
Il piano industriale ideato dal governo Conte II, per risolvere le crisi aziendali della veneta Acc e della piemontese Embraco, unendo le forze e dando vita al polo italiano del compressore per frigoriferi, non è ancora stato attuato dopo mesi di promesse e di impegni mai mantenuti.
Pare infatti che tra le tante cose il Mise si fosse assunto l’incarico di presentare un emendamento all’articolo 37 del Decreto Sostegni, per accelerare l’erogazione del prestito-ponte ad Acc, salvo poi negare di essersi mai impegnato in tal senso. “Il Governo dia risposte anziché smentire gli impegni presi, spieghi se questo progetto vedrà mai la luce – ha sbottato Ugo Bolognesi della Fiom Torino -. Alla fine far nascere ItalComp costerebbe meno che continuare a versare gli ammortizzatori tenendo le persone a casa a deprimersi”, ha concluso.
Si vocifera di un “palese dissenso”, all’interno del Mise, tra il Ministro Giancarlo Giorgetti e il suo viceministro Alessandra Todde, che terrebbe in ostaggio 700 lavoratori, nello scontro tra il progetto “Conte-M5S”, che vorrebbe la nuova ItalComp per il 70% in mano ad Invitalia, quindi a maggioranza pubblica e la “soluzione privata” di Giorgetti, per la quale però non si è ancora fatto avanti alcun “cavaliere bianco”. E nel frattempo nessuno dice o indica nulla su altre possibili strade da percorrere, per evitare chiusure e licenziamenti. In gioco c’è la vita di 700 famiglie, che stanno perdendo la casa e che in molti casi per mangiare sono costrette a ricorrere alla Caritas.
Intanto i 400 operai di Embraco stanno ricevendo la lettera di licenziamento e i 300 di Acc in amministrazione straordinaria, ma in pieno boom di ordinativi, sono appesi ad un filo, perché se entro maggio la situazione non si sblocca e non entrano risorse fresche, l’azienda è destinata alla chiusura.
Il paradosso è che le due aziende rischierebbero la chiusura proprio nell’anno in cui, a causa della pandemia, la domanda per componenti Made in Europe sta aumentando, per i rallentamenti negli arrivi di materiali dall’Asia e quando molti produttori europei stanno riflettendo sulla necessità di rivedere le catene di approvvigionamento, affidandosi a fornitori più vicini, aprendo così un’importante fetta di mercato.