Il “manager di ferro” Cesare Romiti è morto a 97 anni. Era nato a Roma il 24 giugno del 1923, figlio di un impiegato delle Poste, si era laureato in scienze economiche e commerciali e nel ’47 aveva iniziato a lavorare a Colleferro, nel Gruppo Bombrini Parodi Delfino. Nel ’70 era arrivato in Alitalia: direttore generale, poi amministratore delegato.
Nel ’73 l’Italstat. Ma dal 1974 la sua vita si lega a quella della Fiat: vive gli anni dell’inarrestabile potere sindacale e del terrorismo. Nel 1976 diventa amministratore delegato con Umberto Agnelli e Carlo De Benedetti. Il 14 ottobre 1980, dopo 35 giorni di scioperi, a capo di 40.000 quadri della Fiat scende in piazza contro il sindacato, che poco dopo arriva all’accordo su una pesante riorganizzazione. Il 1980 è anche l’anno della Fiat Uno, presentata in anteprima mondiale a Cape Canaveral, l’auto degli italiani che rilancia le vendite.
Romiti stringe un rapporto sempre più saldo con l’Avvocato Gianni Agnelli e quando nel 1996, a 75 anni, quest’ultimo lascia la presidenza di Fiat per diventarne presidente onorario, il timone passa proprio a Romiti, che resta a capo dell’azienda fino al 1998, quando anche per lui scatta il limite anagrafico dei 75 anni.
Già nel 1991 era arrivato vicino all’acquisizione di Chrysler e anni dopo in una intervista spiega: ”Io e Gianni Agnelli avevamo concluso l’operazione ma Umberto Agnelli si mise di traverso”. Vive gli anni di Tangentopoli che toccano anche la Fiat, e arriva per lui una condanna per falso in bilancio, poi revocata nel 2003, quando non era più reato.
Nel 1998, subito dopo aver lasciato il Lingotto, con la buonuscita della presidenza Fiat, Romiti arriva nell’holding finanziaria Gemina che, tra l’altro, aveva rilevato da Mediobanca il controllo di Rcs; fino al 2005 è azionista di Impregilo, ed entra poi nel business delle infrastrutture con la privatizzazione di Aeroporti di Roma. In Rcs Romiti è presidente dal 1998 al 2004.
Nel 2003 crea la Fondazione Italia Cina, la più recente delle imprese di un uomo instancabile.