Vicenza piange uno dei suoi simboli più amati, uno dei suoi ricordi più dolci e con cui sono invecchiati, cresciuti e nati migliaia di vicentini.
Il simbolo per antonomasia del Lanerossi Vicenza, di quella mitica squadra capace di incantare tutta Italia e di sfiorare il clamoroso titolo, nel 1978, dietro solamente alla Juventus. E tremano le mani e la voce, a pensare che quell’eterno ragazzino, magro, con i capelli come i Beatles e con addosso quella mitica maglia, a larghe strisce biancorosse e la “LR” di Lanerossi rigorosamente blu, oggi se ne sia andato.
Paolo Rossi, colui che fece sognare il capoluogo berico, prima, e tutta Italia, poi, si è spento. Portato via nella notte da un brutto male a soli 64 anni; un fulmine a ciel sereno per i più, ignari di quel che Pablito covava dentro di sé, con la grande dignità di non volerlo esporre o raccontare.
Timido e garbato, del resto, lo era sempre stato. Un signore, amato ovunque, durante la carriera calcistica e negli anni a venire.
C’era un posto, però, in cui Pablito perdeva la sua signorilità e peccava di maleducazione. Non solo, come tanti bad boys d’oltremanica degli anni ‘70, con ciuffo sulla fronte e sguardo strafottente, talvolta sconfinava nel mondo della criminalità, nell’oscuro, rischioso e vincente mondo delle rapine. Nell’area di rigore non c’era spazio per bontà e compassione, non c’era beneficenza e non c’era rispetto per i malcapitati difensori e portieri avversari. Lì c’era il primo grande “attaccante di rapina” della storia del calcio italiano; che con fisico esile e scattante, anticipava e soffiava il momento ai ruvidi difensori dei tempi che furono. Implacabile. Non pensavi ci potesse arrivare e lui, invece, c’era già arrivato. E l’aveva già messa dentro.
Simbolo del riscatto della provincia veneta, che verso la fine degli anni ’70 iniziava a sentire l’agognato profumo di benessere, divenne il monumento dell’Italia che si lasciava alle spalle i terribili anni di piombo, dando il benvenuto ai dorati anni ’80 in cui si sarebbe consacrata come grande potenza industriale. Ai mondiali di Spagna nell’82, era partito in sordina; ancora bersagliato dalla squalifica di cui era stato (ingiustamente?) vittima poco tempo prima. Così come la Nazionale, del resto, era partita in sordina; osteggiata dalle polemiche sul calcio-scommesse e messa su un aereo con pochi auspici e tanta diffidenza.
Passato il primo turno, quasi per sbaglio, dai quarti di finale Paolo Rossi prese per mano gli Azzurri allenati da Bearzot e divenne Pablito, entrando per sempre nella leggenda. Tre gol al Brasile più forte di tutti i tempi, due gol alla sorprendente Polonia in semifinale, e il sigillo nella finalissima contro la Germania Ovest. Che laureò un’incredula Italia campione del mondo dopo più di 40 anni; riempendo le piazze di milioni di persone in un delirio di gioia ed estasi collettiva.
Un Paese stanco e lacerato da anni di violenze d’ogni tipo si era, per un attimo, riunito in un abbraccio fraterno. Come d’incanto, erano spariti rossi e neri, erano spariti NAR e BR, erano spariti i rapimenti, era sparita la mafia, erano sparite le stragi. C’era un popolo che per la prima volta si sentiva tale, senza divisioni, unito dal pallone. Sembra retorica, ma non lo è. Chi c’era, sa cos’è stato; a chi non c’era gliel’hanno raccontato.
Se l’urlo di Tardelli dopo il 2-0 rimarrà il simbolo della finale, Pablito è e sarà per sempre il simbolo di tutto il “mundial” di Spagna e di quell’Italia che rinasceva, che ripartiva, che vinceva. Un’Italia che da allora non poté non ricordarsi di quel Lanerossi Vicenza che aveva lanciato il mito di Paolo Rossi; e a cui lui, per primo, rimase sempre affezionato.
Nominato pochi anni fa cittadino onorario della Città del Palladio, aveva scelto di diventare l’ambasciatore del nuovo LR Vicenza di Renzo Rosso, per consacrare il suo eterno affetto per i colori biancorossi. Ricambiato dall’affetto dei vicentini, che lo sentivano uno di loro. E a cui mancherà terribilmente non vederlo più girare in centro, con un sorriso, che è il sorriso di tutti noi. Ciao Pablito, eterno campione.
Federico Kapnist