Una chiave di lettura controversa, o perlomeno molto audace, non vedrebbe in maniera così negativa il drammatico ritiro dall’Afghanistan da parte della NATO.
Tralasciando le considerazioni umanitarie e quelle legate al sostanziale fallimento della campagna militare/diplomatica, è opportuno analizzare anche le ripercussioni geopolitiche. Valutando, quindi, chi tra i grandi vicini dell’Afghanistan rischi di più ora che al potere vi sono i Talebani.
Portatori di una visione oscurantista e rigidissima dell’Islam sunnita, essi sono sulla carta nemici naturali di Iran (in quanto sciita e con antiche pretese territoriali su Herat) e Russia (atavica nemica e perennemente in stato di tensione nel Caucaso, sempre contro la galassia islamista); in modo minore della Cina, che però combatte e reprime l’Islam(ismo) nelle regioni occidentali dello Xinjiang.
Riprendendo l’incipit, potrebbe quindi sembrare che Washington, accortasi di come i costi della permanenza in Afghanistan superino ormai di gran lunga i benefici, abbia deciso di sbolognare la patata bollente ai suoi tre grandi nemici. Regalando loro una polveriera fatta di instabilità, caos e pericolose infiltrazioni di profughi, armi, droga e terroristi.
Cartina alla mano, l’Iran è quello più esposto, con un confine lungo centinaia di chilometri. La Cina, anch’essa confinante, ha però gioco più facile; essendo la frontiera assai più piccola. La Russia è “protetta” dai suoi antichi domini imperiali, le restanti cinque repubbliche centrasiatiche; nelle quali, ad esclusione del Turkmenistan, vanta solidi rapporti economici, diplomatici e militari.
Tutte queste tre Potenze, dovranno ora attingere alle loro plurisecolari arte della diplomazia e conoscenza degli afghani. Per provare a trarre un vantaggio dal ritiro della vituperata America e non a subirne, invece, le conseguenze.
Al momento, chi sorride è il Pakistan; conclamato alleato dei Taliban e loro grande sponsor. Insieme ai Paki, i “puri”, c’è la Turchia del sultano Erdogan; pan-turco e neo-ottomano. E che proprio giocandosi queste due carte, sogna un ideale riavvicinamento economico e strategico alla terra d’origine del suo popolo.
Federico Kapnist