A quanto pare l’Italia ha carenza di manager, dato che per ogni cosa, a partire dal Covid, si fa ricorso a Domenico Arcuri, l’amministratore delegato di Invitalia che il governo Conte ha coinvolto come parte attiva anche nella risoluzione della difficile trattativa con il gruppo franco-indiano ArcelorMittal (ex- Ilva).
Anche qui lo Stato vuole metterci lo zampino e, per non lasciare senza lavoro 11mila persone, ha scelto Invitalia per risolvere il problema e rilevare la maggioranza del colosso siderurgico, cercando di evitare possibili colpi di coda da parte degli investitori stranieri.
Niente da dire sulla volontà dello Stato di salvare dei posti di lavoro, ma davvero non si poteva trovare un’altra persona? Sospendiamo il giudizio sul lavoro di Arcuri nella gestione dell’emergenza sanitaria, che è sotto gli occhi di tutti, ma una partita così complessa come quella di ArcelorMittal merita attenzione, come pure il Covid e per questo non si può strattonare un unico amministratore da una parte e dall’altra. Il risultato è che non farà bene né l’una né l’altra cosa.
“Confidiamo che la trattativa possa concludersi positivamente”, ha detto ieri in videoconferenza con i sindacati il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, che condivide l’ottimismo dell’esecutivo. Lo Stato entrerà con Invitalia, come azionista di maggioranza, nel complesso siderurgico assieme ad ArcelorMittal, indirizzando la governance aziendale.
Non c’era altra soluzione che la ri-nazionalizzazione e Conte ha di nuovo scommesso su Arcuri per traghettare l’ex Ilva verso acque più tranquille: entro il 30 novembre bisognerà siglare l’intesa per rilevare da Ilva, in amministrazione straordinaria, l’intero complesso e ArcelorMittal, in ritardo sia sui canoni d’affitto che sui pagamenti ai fornitori, ha attirato su di sé le critiche dei sindacati e della Confindustria locale.
Ma il nome di Arcuri non ha convinto proprio tutti, dato che le sigle metalmeccaniche hanno ritenuto le rassicurazioni del governo poco credibili, e adesso sarà compito del manager far ricredere tutti e ridisegnare il futuro dell’Ilva: il piano prevede la progressiva risalita produttiva degli impianti fino alla soglia delle 8 milioni di tonnellate annue (ora si è fra i 3 e i 4 milioni di tonnellate) con l’impiego della totalità della forza lavoro.
Oggi si contano 10.700 addetti, di cui 8.200 a Taranto, ma proprio in questa città 3.300 sono attualmente in cig e il 16 novembre scattano altre 6 settimane di cassa Covid. Ma Arcuri non molla un colpo e rassicura che il piano quinquennale, elaborato a marzo, sarà attuato nella sua totalità con la progressiva decarbonizzazione e investimenti importanti. Ma i sindacati sono dubbiosi e chiedono chiarezza.
L.M.