La libertà d’espressione ha un limite, sopratutto quando va a ledere l’immagine del re e della corona. Così hanno deciso i giudici spagnoli, che hanno condannato a nove mesi di reclusione il rapper catalano Hasel – al secolo Pablo Rivadulla Duro – per insulti a re Juan Carlos e alla polizia, insieme all’incitamento ad un gruppo terrorista spagnolo d’ispirazione maoista.
I reati di cui il rapper è accusato erano stati commessi tramite testi di canzoni e alcuni post pubblicati sui suoi profili social; e risalivano tra il 2014 e il 2016. Già pregiudicato per altri reati, tra cui resistenza a pubblico ufficiale e violazione di domicilio, per Hasel non c’è stata nessuna clemenza; e il tribunale ha deciso di procedere con l’arresto una volta conclusosi il processo, lunedì 15 febbraio.
Informato della condanna, il rapper si è barricato nell’Università di Lleida con il dichiarato scopo di “rendere il suo arresto il più difficile possibile alla polizia”. La sua cattura ha però scatenato un’ondata di proteste a Barcellona; dove migliaia di persone si sono riversate in strada dando vita a scontri con la polizia, che è arrivata a sparare proiettili di gomma sulla folla.
Una petizione è stata firmata da oltre 200 artisti – tra cui Pedro Almodovar e Javier Bardem – per chiedere il rilascio del cantante. Mentre il premier socialista della Spagna, Sanchez, si è dichiarato favorevole a rivedere la legge che limita la libertà d’espressione.
Proteste si sono verificate anche in altre città spagnole; ma la vicenda ha avuto particolare eco e risalto in Catalogna, dove da dopo il 2017 vi è un braccio di ferro tra la regione autonoma e il governo centrale di Madrid. A seguito del mancato riconoscimento del referendum per l’indipendenza e dell’arresto del leader Carles Puigdemont.
Federico Kapnist