Esilio o arresto. Si può riassumere così il bivio a cui si è trovato davanti l’attivista e blogger russo Alexey Navalny, prima di lasciare la Germania e fare ritorno verso casa. Scegliendo la seconda opzione, quindi. A testa alta e dichiarando che non aveva mai pensato di lasciare la Russia poiché “questa è casa mia. Non ho paura. So di avere ragione e che tutti i procedimenti penali contro di me sono inventati”
Ristabilitosi dal presunto avvelenamento avvenuto lo scorso agosto, durante un volo interno tra la Siberia e Mosca, “il più grande oppositore di Putin” è stato arrestato al suo arrivo all’aeroporto di Sheremetyevo. Ufficialmente per violazione del regime di libertà condizionata a cui era sottoposto.
Navalny stava infatti scontando una pena di tre anni e mezzo per appropriazione indebita; e in base a questa condanna, avrebbe dovuto presentarsi di fronte alle autorità giudiziarie russe a cadenza regolare. Non essendosi presentato il giorno 28 dicembre – nonostante le dichiarazioni da parte dei medici tedeschi certificassero che i suoi problemi di salute erano oramai superati – per Navalny sono scattate le manette. L’udienza sul suo caso si terrà il prossimo 29 gennaio.
Un’ondata di proteste ha attraversato gli Stati Uniti e l’Unione Europea, in seguito all’arresto del dissidente russo. Dal neo-presidente USA, Joe Biden, sino al capo del Consiglio Europeo, Charles Michel, passando per il nostro David Sassoli, presidente dell’Europarlamento, tutti hanno chiesto a gran voce che Navalny fosse immediatamente liberato. Bollando come “grave” e “inaccettabile” la sua detenzione.
Il “caso Navalny” è, da anni, un grande, ulteriore motivo di frizione tra Mosca e l’Occidente; con punti di vista totalmente agli antipodi su ogni aspetto che riguardi il blogger russo. In primis le condanne di cui è ancora oggetto: fondate secondo la Russia, politiche e pretestuose secondo Washington e Bruxelles. Anche sulla vicenda legata all’avvelenamento i pareri sono discordanti: l’Occidente crede in toto alla versione di Navalny – e cioè che sia stato avvelenato per ordine di Putin – mentre Mosca rimane molto scettica sull’intera vicenda, definita una messinscena per attirare l’attenzione.
Su una cosa, almeno, le parti devono coincidere: la scarsa rilevanza politica del celebre blogger.
Federico Kapnist