Credevamo che i grandi problemi sociali fossero prerogativa di quei paesi che più di chiunque altri, negli anni, hanno fomentato la costruzione di quartieri-ghetto, riempiendoli di emarginati e disperati provenienti da mezzo mondo. Scopriamo, tuttavia, come anche in Paesi considerati pacifici e che non presentano particolari problemi sociali derivanti da un eccesso di immigrazione (e quindi di ghettizzazione), la possibilità che un emarginato trovi terreno fertile per coltivare un’ideologia malata, esiste.
Anche l’Austria, che noi reputiamo una sorta di isola felice, costellata di montagne meravigliose e vestigia di un grande impero di cui ancora si respira l’aria nelle sue ricche ed accoglienti città, nasconde, come gran parte del mondo occidentale, un sinistro rovescio della medaglia. Una pericolosa polvere nascosta sotto al tappeto da cui può, all’improvviso, uscire per far male.
Quartieri anonimi con colate di cemento rovesciate ai margini delle città; dove gli immigrati di seconda e terza generazione provenienti da Paesi poveri e remoti, soffrono la ghettizzazione e l’inadeguatezza rispetto alla ricchezza e al benessere di chi li ha accolti, sì, ma subito confinati.
Liesing, quartiere dove abitava l’unico attentatore arrestato sinora, Kujtim Fejzulai; o Favoriten, altro quartiere difficile di Vienna, dove solo qualche giorno prima della strage di lunedì, un gruppo di giovani turchi aveva preso d’assalto una chiesa dove era in corso una funzione religiosa, rovesciando le panche e distruggendo ogni cosa si parasse loro davanti. Ai turchi di Favoriten, era bastata la crescente tensione internazionale che vede coinvolta la Turchia e il suo presidente Erdogan, reo di chiamare alle armi l’intero mondo musulmano contro “l’Occidente cristiano e colonizzatore che insulta il Profeta”; al giovane attentatore di origine albanese, probabilmente anche.
Certo le polemiche ora infuriano sul fatto che Fejzulai fosse finito in carcere e da lì rilasciato, sfruttando un “premio” concesso ai giovani detenuti precedentemente incensurati. E monta la comprensibile rabbia per aver saputo individuare un soggetto pericoloso ed esserselo poi lasciato scappare; con questo epilogo.
Il problema è che non era un caso isolato; secondo i rapporti dei servizi segreti di Austria e Germania, diverse centinaia di persone in Austria, negli ultimi anni, hanno espresso sostegno attivo all’ISIS, provando ad unirvisi per andare a combattere in Siria e in Iraq. Tra questi, c’era anche l’attentatore, Fejzulai, che per questo era stato arrestato, circa un anno e mezzo fa. La scoperta, inquietante, che in questi quartieri vi sia un terreno fertile, una zona grigia che non approva il gesto ma ne capisce il fondamento, riporta a quella pericolosa forma mentis ben nota in Italia, riassumibile nella massima “compagni che sbagliano”.
E che sintetizzava il modo in cui, negli anni ’70, una non irrilevante fetta del PCI strizzava l’occhio alle Brigate Rosse e i suoi atti criminali, condannandoli ma non troppo. Come giustificandoli, in fondo.
L’idea che anche nella pacifica e felice Austria esistano decine di potenziali killer e centinaia di fiancheggiatori, è un segnale da considerare con la massima attenzione.
Federico Kapnist