Avrà parlato seriamente o sarà stata una boutade? Gli analisti, per grandissima parte, non hanno dubbi: le dichiarazioni di Joe Biden sulla possibilità di revocare le tutele di proprietà intellettuale per i vaccini anti-Covid, erano veritiere.
Un’uscita che ha destato scalpore, quella dell’attuale Presidente degli Stati Uniti; terra in cui, per antonomasia, l’impresa privata prevale sul pubblico interesse e dove, quindi, il profitto derivante dalla proprietà intellettuale non può ammettere eccezioni; anche quando riguardi la salute pubblica.
I lettori più attenti, però, non devono stupirsi troppo. Da vice di Obama, Biden aveva lottato per la riforma sanitaria passata alla storia come Obamacare (e prontamente abolita da Donald Trump). Riconoscendo quindi come un diritto fondamentale quello di estendere la tutela della salute pubblica anche ai meno abbienti; con buona pace del profitto delle compagnie assicurative, delle strutture ospedaliere e delle grandi aziende farmaceutiche – alias Big Pharma – oggi sul tavolo degli imputati.
Un sintomo, già allora, che l’uomo che occupa ora la Casa Bianca crede fortemente come la salute pubblica prevalga sull’interesse privato, sul mero profitto. Ecco che allora, per velocizzare l’uscita dalla pandemia e avere a disposizione più vaccini possibili, bisogna liberalizzare le licenze e rendere di pubblico dominio i brevetti. In altri termini, produrre più vaccini in più parti del mondo.
Stati Uniti, Gran Bretagna e a cascata, poi, gli stati più ricchi del mondo, vedono la luce in fondo al tunnel della pandemia; ma il problema della carenza del prezioso medicinale attanaglia ancora quelli più poveri. Come è spietatamente logico.
Non è la fine di un’epoca, quella che chiede Biden; ma semplicemente una deroga dovuta all’emergenza globale. Che, bene ricordarlo, ha visto un munifico impegno dei governi nel finanziare proprio le grandi aziende farmaceutiche, al fine di velocizzare la creazione dei vaccini.
Federico Kapnist