Alla fine sono arrivate. Le nuove sanzioni a stelle e strisce andranno a colpire sette alti funzionari russi; tra cui il direttore dei servizi segreti (il FSB, ex KGB), Alexander Bortnikov, il primo vice capo di Stato Maggiore del presidente Putin, Sergei Kirienko, ed il procuratore generale del Paese, Igor Krasnov. La motivazione dietro alla mossa di Washington, il caso Navalny; e quindi le responsabilità russe sul suo presunto avvelenamento e la decisione dei giudici di condannarlo a due anni di carcere.
Alle personalità colpite dalle sanzioni, sarà vietato recarsi negli Stati Uniti; e saranno congelati i loro eventuali beni (quali, ad esempio, immobili e conti correnti) presenti sul territorio americano.
La decisione, la prima contro la Russia che porta la firma di Joe Biden, s’inserisce in un piano ben preciso annunciato dal nuovo presidente degli Stati Uniti. Desideroso di assumere, secondo quanto comunicato in più occasioni, un atteggiamento contro Mosca ancora più rigido rispetto al suo predecessore, Donald Trump.
La reazione di Mosca non si è fatta attendere. Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, e la sua portavoce, Maria Zakharova, hanno commentato la decisione come “un attacco anti-russo ostile” e “una scusa per continuare ad interferire apertamente negli affari interni della Russia”. Il capo della diplomazia di Mosca, ha poi specificato come le argomentazioni americane non abbiano “nessun riscontro pratico”, e che “decidere di punire la Russia per cose che non esistono, non faccia onore a nessuno”.
Sulla vicenda del blogger russo – considerato da molti come un grande oppositore di Putin, a fronte, però, di un modesto consenso politico – i punti di vista di Unione Europea e Stati Uniti sono agli antipodi rispetto a quelli della Russia. Che continua a non supportare la tesi dell’avvelenamento, in mancanza di documentazione che la accerti, e che reputa fondata, e non politica, la condanna per corruzione e appropriazione indebita di cui è stato oggetto Navalny.
Posizioni di vista inconciliabili i cui nodi, ora, iniziano a venire al pettine.
Federico Kapnist