Giacca maoista, ritratto del “grande timoniere” sotto il palco e parole di fuoco. Per festeggiare i 100 anni del Partito Comunista Cinese, il presidente Xi Jinping non ha voluto lesinare i riferimenti alla grandezza che il Partito ha portato alla Cina.
Ponendo l’accento sul passato coloniale, e su come Pechino sia ancora in debito nei confronti dell’Occidente per i tentativi di annichilire il fu Celeste Impero, Xi ha voluto chiarire che nessuno potrà mai più sottomettere la Cina. E che chiunque avrà il solo pensiero di farlo, si troverebbe di fronte ad una “muraglia di acciaio” – composta dal miliardo e 400 milioni di cinesi pronti a difendere la loro terra.
Il presidente, lodando il benessere sociale scaturito dalle conquiste iniziali del Partito – l’aver superato la fame, vinto il colonialismo con i suoi saccheggi e lo sfruttamento, sconfitto il sistema feudale – e dalla sua evoluzione all’economia di mercato, non ha nascosto le sfide che si trova ora innanzi. La rivalità in Asia con gli Stati Uniti e la necessità di riportare Taiwan, prima o poi, sotto la bandiera rossa; ancora, difendere la propria sovranità su Hong Kong e lo Xinjiang; infine, far decollare l’ambizioso progetto della Nuova Via della Seta.
Retorica utile ad infiammare le masse, insieme ad una lucida analisi degli scenari geopolitici del futuro, si sono mescolate nelle parole dell’uomo che sta portando la Cina a diventare leader economico a livello mondiale.
Federico Kapnist