Se non fosse che c’è scappato il morto (e forse addirittura quattro), lo spettacolo, grottesco, andato in scena nel pomeriggio di ieri a Washington, sarebbe stato degno di una puntata de “I Simpson” o di qualche film demenziale hollywoodiano.
E invece era tutto vero. Nel giorno in cui il Congresso, ossia il parlamento americano, certificava definitivamente la vittoria di Joe Biden, una masnada di supporters di Donald Trump, sentitisi traditi da un non ben specificato complotto ordito ai loro danni, ha assaltato Capitol Hill, il Campidoglio. Sede del Congresso e “tempio della democrazia della più grande democrazia al mondo”.
Forze dell’ordine inadeguate hanno permesso che la folla avesse ragione dell’esiguo cordone di sicurezza ed entrasse all’interno del Palazzo, sfondando porte e vetri come in una qualsiasi “repubblica delle banane”. Provocando in questo modo il fuggi fuggi dei parlamentari che in quel momento stavano eleggendo Biden nuovo presidente degli Stati Uniti; fatti uscire alla meno peggio dalle uscite secondarie grazie al servizio di sicurezza interno.
Le scene che sono poi seguite rimarranno qualcosa di indelebile nella mente di tutti. Un capo popolo vestito da barbaro, con tanto di elmo con le corna, ha guidato una folla – bianca – all’interno del palazzo. E che non ha perso tempo nell’occupare momentaneamente gli scranni del potere, concedendosi un selfie sorridente ed il furto di qualche oggetto da portare a casa come souvenir dell’allegra scampagnata.
Scene dell’altro mondo. Se le dimostrazioni e le proteste sono il sale della democrazia, e avvengono in ogni paese civilizzato, è vero però come gli assalti (riusciti) ai parlamenti si sia abituati a contestualizzarli in Africa, in Asia centrale, o al limite in America latina (e per una sorta di nemesi, talvolta sobillati proprio dagli Stati Uniti per abbattere qualche governo non gradito). Non certo nella capitale della Superpotenza mondiale con la spesa per armamenti più alta al mondo; e che vede violato uno dei suoi luoghi più importanti da una folla incattivita, sì, ma disorganizzata.
Nel giorno in cui la Georgia dava la vittoria ai Democratici, consegnando quindi anche l’intero Congresso (Camera + Senato) al partito di Joe Biden, Trump esce di scena nel peggior modo possibile. Artefice in prima persona di quanto successo ieri – dopo settimane di incitamento all’odio e di mancato riconoscimento di un risultato elettorale chiaro per chiunque, compagni di partito in primis – la toppa messa ieri per arginare la folla è stata quasi peggiore del buco. Con la solidarietà espressa verso quanto stava accadendo e solo un annoiato e tardivo invito ai manifestanti di fare ritorno a casa.
Dopo i ripetuti e gravi soprusi della polizia, e le insopportabili e violente proteste del movimento Black Lives Matter (a cui i Dem hanno troppo spesso strizzato l’occhio in campagna elettorale), un’altra, nuova pagina di infimo livello nella recente storia americana.
Federico Kapnist