Il Sistema Confartigianato Imprese Veneto ha chiesto a deputati e senatori eletti in Veneto di favorire la riapertura dei servizi alla persona (acconciatura, estetica, tatuaggio e piercing) con una pronta modifica al Dpcm del 2 marzo 2021 che reintegri le attività di acconciatura ed estetica nell’allegato 24, consentendone lo svolgimento nelle zone rosse ed evitando in tal modo il protrarsi della situazione di pericolo per i cittadini fruitori di tali servizi.
Con una lettera dei sette presidenti delle associazioni territoriali di Confartigianato Imprese Veneto è stata espressa la situazione di allarme delle imprese dei settori dell’acconciatura e dell’estetica rispetto ai disagi provocati dalla chiusura di tali attività nelle zone rosse prevista dall’allegato 24 al Dpcm del 2 marzo scorso, nel quale i servizi dei saloni di barbiere e parrucchiere sono stati aggiunti ai servizi dei centri estetici, già esclusi dallo stesso allegato al Dpcm del 3 novembre 2020. Una lettera che solleva tre punti di cortocircuito. Il primo riguarda le misure di sicurezza e i protocolli anti-contagio, rimasti validi fino a prima dell’entrata in vigore del Dpcm 2 marzo, pur con un quadro pandemico più grave. Il secondo punta l’attenzione sul dilagare dell’abusivismo. Il terzo, infine, guarda ai conti pubblici, su cui gravano i costi di chiusura forzata.
“Il nostro comparto sta subendo una chiusura che non è giustificabile: per mesi i saloni di acconciatura sono rimasti aperti anche in zona rossa, in quanto il legislatore ha riconosciuto la bontà dei protocolli di sicurezza disposti – afferma Ivana Del Pizzol, presidente degli acconciatori di Confartigianato Belluno -. Poi da un giorno all’altro sono cambiate le regole. La scelta di imporre la chiusura appare di difficile comprensione dal momento che i locali risultano essere più che sicuri, sia per quanto riguarda l’utilizzo di dispositivi medici di protezione per il personale addetto ai servizi e l’impiego di materiali adeguati alle prestazioni eseguite, sia sotto il profilo del contingentamento delle persone. Anzi, la chiusura comporta l’incremento di fenomeni legati all’esercizio abusivo di tali attività presso il domicilio dei cittadini, con il rischio concreto di aumentare i contatti non protetti in ambienti non sanificati e dunque la diffusione del virus”.
Il quadro del settore è ben illustrato nella lettera inviata ai parlamentari veneti: 12mila le imprese artigiane venete attive a fine 2020 (8.147 dell’acconciatura e 3.837 dell’estetica) con 24.500 addetti. Numeri che impongono una riflessione, secondo i presidenti di mestiere, che va ben oltre il danno economico.
“Gli investimenti e le precauzioni adottati per l’adeguamento ai protocolli di sicurezza fin dall’anno scorso, per garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro e per evitare la diffusione del coronavirus, garantiscono nei saloni e nei locali aziendali elevati ed efficaci livelli di prevenzione, ulteriori peraltro alle già rigide misure di sicurezza normalmente rispettate dagli operatori del settore a tutela della salute della propria clientela – rileva Alessandra Feltrin, presidente del settore benessere -. Inoltre, i saloni e i centri dove vengono prestate le attività di servizi alla persona non possono in alcun modo essere intesi quali luoghi di assembramento, visto che è consentito l’accesso soltanto di un cliente alla volta, per di più con obbligo di prenotazione”.
“Con queste premesse, abbiamo sollevato una questione fondamentale ai parlamentari veneti. Quella cioè che con la regolare apertura delle attività le imprese potrebbero contare sugli introiti derivanti dai servizi e dalle prestazioni resi alla propria clientela, senza gravare sui conti pubblici per gli ammortizzatori sociali ma anzi contribuendo in quota parte alla fiscalità generale – conclude Del Pizzol -. Da qui la nostra richiesta di consentire la riapertura, in tempi rapidi”.
“Le nostre imprese chiedono di lavorare, perché è il solo modo di superare il difficile momento economico – aggiunge la presidente di Confartigianato Belluno, Claudia Scarzanella -. Il rispetto dei protocolli di sicurezza non è in discussione. Ma se vogliamo uscire dalla crisi, che è economica oltre che sanitaria, è necessario che le attività ripartano, quanto meno quelle in cui è appurato che non esistono pericoli di contagio”.