A quanto risulta dagli ultimi dati, il recupero del PIL italiano è posticipato e una vera ripresa si potrebbe avere solo da metà 2021, a patto che la vaccinazione risolva l’emergenza sanitaria e faccia ripartire i consumi. Si allarga a inizio 2021 la forbice tra servizi ancora in crisi e industria che regge, con andamenti divergenti anche nelle dinamiche dei prezzi al consumo. Per l’export italiano lo scenario è leggermente migliorato, sulla scia di scambi mondiali in lenta espansione, mentre le principali economie dell’Eurozona hanno chiuso il 2020 con risultati meno gravi del previsto.
I tassi sovrani a gennaio restano moderati per l’Italia, poco sopra i minimi, nonostante la prolungata instabilità politica e solo grazie ai massicci acquisti di titoli effettuati dalla BCE. Nel 2020 in Italia l’impatto della crisi sanitaria è stato molto vario tra settori e tipologie di imprese, molte delle quali hanno accumulato più debito ma non hanno potuto usarlo per nuovi investimenti.
A inizio 2021, il peggioramento delle attese spinge una parte delle famiglie a risparmiare a scopo precauzionale; inoltre, vari acquisti sono ostacolati dalle norme anti-Covid. Tutto ciò frenerà i consumi e il PIL, almeno nel 1° trimestre. Un forte rimbalzo è atteso solo dal 3° trimestre 2021, sopra le stime iniziali se la vaccinazione sarà efficace e rapida. Un allentamento delle restrizioni anti-pandemia, infatti, rilancerebbe anche la fiducia e quindi la domanda, liberando per i consumi le risorse accumulate in questi mesi con il risparmio “forzato”. Il recupero potrebbe poi proseguire, se l’aumento dei vaccinati continuasse a far calare i contagi. Comunque, la flessione stimata per fine 2020 e la debolezza attuale fanno già rivedere al ribasso la crescita complessiva attesa per quest’anno.
- Ampia forbice tra servizi e industria. Nei servizi la flessione dell’attività è rimasta profonda a fine 2020, a causa della riduzione degli ordini, domestici ed esteri, legata alle misure di contenimento della pandemia. Nell’industria, invece, c’è stato un miglioramento dell’attività a dicembre; fino a novembre la produzione si era mantenuta, dopo una certa oscillazione, sui livelli di settembre. Tale divario è confermato dalla fiducia delle imprese, che a inizio 2021 cala ancora nel commercio e resta bassa negli altri servizi, per la seconda ondata di epidemia, mentre si conferma più alta nell’industria.
- Più debito, non investimenti. A novembre i prestiti alle imprese sono arrivati al +8,1% annuo; tuttavia, la domanda “emergenziale” rimane limitata a finanziare il capitale circolante, dati i fatturati compressi in vari settori, non i nuovi investimenti (indagine Banca d’Italia). E le prospettive per il 2021 restano fosche, come indicano gli ordini interni dei produttori di beni strumentali solo un po’ meno negativi.
- Export: scenario un po’ migliorato. L’export italiano di beni risale in novembre (+4,1%), dopo una battuta di arresto in ottobre, tornando sui livelli pre-crisi. Il recupero è diffuso ai mercati UE ed extra-UE (in calo, però, a dicembre) e ai principali tipi di beni (di consumo, strumentali, intermedi). Resta invece eterogeneo tra singoli paesi e settori: spiccano in positivo Germania, Svizzera, Cina e USA tra le destinazioni; metalli e autoveicoli tra i prodotti. In miglioramento le prospettive per inizio 2021, secondo gli indicatori qualitativi sugli ordini manifatturieri esteri (PMI e fiducia delle imprese).
- Scambi in crescita. Indicazioni positive dagli scambi mondiali, che si consolidano sopra i livelli pre-crisi (+2,8% a novembre su febbraio). Tuttavia, lo scenario sanitario globale è molto incerto e le restrizioni anti-Covid continuano a pesare, specie sull’export di servizi dei paesi (alle voci “viaggi” e “trasporti”). Il prezzo del petrolio Brent a inizio 2021 ha continuato a seguire il lento miglioramento dello scenario globale, risalendo a 55 dollari al barile; resta tuttavia ancora lontano dal livello pre-Covid (64 dollari).
- Non c’è crescita nell’Eurozona. A gennaio prosegue per il terzo mese la contrazione dell’economia, a causa delle restrizioni contro i contagi: il PMI composito è sceso ancor di più sotto la soglia neutrale (47,5). Tra i settori, alla crisi dei servizi si affianca una minor espansione nel manifatturiero. Comunque, il 2020 si è chiuso meno peggio dell’atteso (PIL in Francia -1,3%, Germania +0,1%) e il livello di attività a inizio 2021 è ben superiore alla primavera scorsa, quando impattò la 1a ondata. A gennaio, più di una famiglia su dieci lamenta una peggiore situazione finanziaria, una su cinque tra i redditi bassi. Il risparmio “forzato” aumenta molto: la quota di risparmiatori è salita al 24%, un multiplo dei valori 2019.
Impatto della crisi molto vario tra settori e imprese
- Il calo di produzione ai tempi del Covid. La pandemia ha inferto un duro colpo all’industria italiana nel 2020, a causa soprattutto della caduta di domanda, interna ed estera, conseguente alle misure di contenimento introdotte in Italia e negli altri paesi colpiti dal virus. Nei primi undici mesi del 2020 la produzione manifatturiera è diminuita di circa il 13% rispetto al 2019. Tale caduta è stata acquisita quasi interamente tra febbraio e aprile, quando la produzione aveva raggiunto (in media) valori inferiori di oltre il 50% rispetto a quelli pre-Covid. Il recupero nei mesi estivi (+29%) ha contribuito in modo determinante a limitare le perdite nell’anno. Il marginale arretramento atteso nell’ultimo trimestre, per il riacutizzarsi della crisi sanitaria, inciderà poco sulla media del 2020.
- Settori colpiti in misura disomogenea. L’impatto della crisi sanitaria sui settori industriali in Italia è stato molto disomogeneo. Infatti, da un lato le produzioni di beni essenziali sono state esentate dal lockdown, dall’altro la domanda di beni di consumo durevoli è più facilmente rinviabile. I divari tra settori sono stati molto ampi nella prima fase dei contagi, passando dal -92,8% dei prodotti in pelle al -5,5% del farmaceutico (produzione di aprile 2020 rispetto a gennaio). Nel complesso del 2020, dopo il forte recupero nel terzo trimestre, i settori manifatturieri più penalizzati, con crolli di attività oltre il -20%, restano quelli legati alla filiera della moda (tessile, abbigliamento, pelle) e dell’automotive, quest’ultimo già in difficoltà prima della pandemia. Viceversa, i settori dell’alimentare-bevande e della farmaceutica hanno limitato entro il -5% la perdita nel 2020 rispetto all’anno precedente.
- Impatto diversificato anche tra tipologie di imprese. Secondo una recente indagine ISTAT, a fine 2020 il 32,4% delle imprese ha segnalato rischi operativi e di sostenibilità della propria attività e il 37,5% ha richiesto il sostegno pubblico per liquidità e credito, ottenendolo nell’80% dei casi. Delle imprese intervistate circa il 70% è pienamente attivo, mentre più del 20% lo è solo parzialmente; il 7% ha dichiarato di essere chiuso (e un quinto di queste non prevede una riapertura). Si tratta per lo più di micro-imprese, concentrate nel settore dei servizi non commerciali e localizzate prevalentemente nel Mezzogiorno. Ben 7 imprese su 10 hanno dichiarato una riduzione del fatturato rispetto all’anno prima, nella metà dei casi tra il -10% e il -50%. Nonostante la crisi, il 25,8% delle imprese è orientata ad adottare strategie di espansione produttiva. Tra queste rientrano quelle che l’ISTAT definisce “proattive”: sono imprese di dimensione maggiore, con più elevati livelli di produttività, formazione, investimenti per addetto. Sono state in parte avvantaggiate dall’operare in comparti più dinamici (a maggiore intensità tecnologica/di conoscenza) e colpiti meno duramente dalla pandemia. Sono più numerose in settori quali le forniture energetiche e idriche e, appunto, in attività che hanno limitato i danni nell’emergenza sanitaria, quali chimica, farmaceutica, elettronica, bevande.
- Indebitamento eccessivo in tutti i settori. Nel 2020 i prestiti “emergenziali” hanno arginato la crisi di liquidità delle imprese dovuta al calo dei fatturati, tenendo in piedi l’attività corrente. Nell’industria la situazione debitoria è peggiorata in tutti i settori, anche nell’alimentare e chimico-farmaceutico dove il flusso di cassa si è ridotto meno. All’estremo opposto, in settori come automotive, metallurgia e macchinari, con flussi di cassa negativi, non è neanche possibile stimare il numero di anni che servirebbero a estinguere il debito. Per il commercio e l’alloggio-ristorazione i flussi di cassa sono caduti in negativo. Una situazione che rischia di diventare insostenibile e rende arduo realizzare investimenti ai ritmi pre-crisi: se le risorse interne venissero impiegate solo per rimborsare il debito, l’impresa non avrebbe i mezzi per nuovi progetti. Nel 2021 si prevede che la situazione resti tesa, anche se meno critica: il fatturato dovrebbe risalire in parte e il cash flow tornerebbe positivo quasi ovunque. Tuttavia, in tutti i settori il debito resterebbe pesante: nel manifatturiero servirebbero 5,4 anni di cash flow, più del doppio del 2019. Nei servizi quasi 4 anni. E questo valore medio non rende appieno le difficoltà di comparti come alloggio-ristorazione e commercio, dove l’onere per interessi resterebbe oltre il 10% delle risorse interne.