Non accenna a placarsi la polemica scatenata dalla clamorosa esclusione di Verona dalla lista delle città finaliste alla candidatura di Capitale italiana della cultura 2022. In un primo momento, il sindaco Federico Sboarina sembrava aver incassato il colpo con un certo fair play, sostenendo che comunque si era lavorato ad un progetto utile per lo sviluppo futuro della città, poi, forse aizzato anche dall’entrata in scena di Vittorio Sgarbi, si è lanciato al contrattacco, puntando il dito direttamente contro il ministro Dario Franceschini.
Nel 2018, Sgarbi aveva suggerito al sindaco Sboarina di non procedere con la candidatura, che era invece caldeggiata da tutto il mondo culturale veronese, perché aveva definito il concorso fra città, “una ridicola fiera che, senza criteri, mette insieme città come Rovigo e Ferrara o Pieve di Soligo con Verona, e che non era il caso di farsi umiliare inutilmente”.
Così, quando il critico d’arte è venuto a conoscenza della bocciatura di Verona, è passato direttamente all’attacco, accusando il ministro Franceschini di essere “un incapace e fazioso, che ha voluto premiare solo le città a guida PD” e per questo, ne ha chiesto le dimissioni.
Naturalmente dagli scranni dell’opposizione, la cosa è vista in tutt’altro modo, perché come hanno fatto sapere fonti del partito democratico cittadino, “Sboarina si trova ad amministrare una città stupenda con un enorme potenziale, ma semplicemente il progetto non è stato giudicato sufficiente”.
Alessia Rotta, deputata veronese del Partito Democratico, scesa in campo per difendere la posizione ministeriale, ha affermato che “anziché riflettere sui limiti della proposta presentata e ammettere quindi la poca attenzione e gli scarsi investimenti sul capitolo cultura, il sindaco Sboarina la butta in politica e lo fa chiamando come testimone niente di meno che il critico à la carte Vittorio Sgarbi”.
“Proprio a Sgarbi, recentemente, il ministro Franceschini aveva spiegato che, la selezione per la capitale della cultura non è un concorso di bellezza, perché non viene premiata la città più bella, ma quella che presenta il progetto più coinvolgente, aperto, innovativo e trasversale”. E, il progetto di Verona, secondo la Rotta, non ha risposto a questi requisiti. In questo modo la parlamentare PD ha voluto respingere al mittente le accuse di partigianeria, rivolte al ministro.
Delusione, incredulità e rabbia sono state espresse da tutto il mondo della cultura della città, che ci aveva creduto e sperato. Paola Marini, già direttrice dei Musei Civici di Verona, ha parlato di un’occasione persa di pensare in grande e spera che da questa sconfitta si possa trarre una qualche lezione e che possa essere di stimolo per impegnarsi in futuro in maniera più partecipata e innovativa.
Gian Paolo Romagnani, già direttore del Dipartimento Culture e Civiltà dell’Università di Verona, sostiene di non essere stato coinvolto nel lavoro di preparazione del dossier e si chiede se la bocciatura non sia il frutto di un lavoro dilettantesco.
Don Bruno Fasani, prefetto della Biblioteca Capitolare, si dice deluso e incapace di capire con che criteri di valutazione vengano operate determinate scelte, anche perché un capitolo importante del progetto riguardava proprio il patrimonio della sua Biblioteca.
Laura Och, direttrice del Conservatorio di Verona, dice che “paghiamo le conseguenze di una scarsa attitudine della città a fare sistema, perché a Verona da sempre è difficile costruire reti e relazioni tra le istituzioni, che non comunicano tra di loro.”