Con la positività al virus del paziente 1 di Codogno, i 55 italiani rientrati da Wuhan, una città della Cina che allora sembrava lontanissima e la coppia di turisti cinesi ricoverati a Roma, iniziava l’epidemia da Coronavirus.
Dodici mesi esatti sono trascorsi dalla sera del 20 febbraio 2020, quando all’ospedale di Codogno arrivò il risultato del tampone fatto a Mattia Maestri: il 38enne ricercatore di una multinazionale con base a Casalpusterlengo risultò positivo al Sars-CoV2 trasformandosi in un attimo nel paziente 1.
Ieri, un cuore tricolore fatto a maglia del diametro di 20 metri è stato fissato sulla facciata del municipio di Vo’ Euganeo, il comune padovano che proprio oggi ricorda la prima vittima italiana di Covid-19, Adriano Trevisan. È passato un anno da quando il borgo ai piedi dei Colli Euganei si scoprì essere il primo cluster del virus in Veneto, e sperimentò la zona rossa per due settimane.
E ancora oggi il virus resta un pericoloso nemico: dall’inizio dell’epidemia in Italia il Covid ha ucciso 95.486 vite, di cui 326 camici bianchi, gli ultimi sono dei medici di famiglia di Ivrea e Verona. Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato in occasione della celebrazione alla Federazione nazionale degli Ordini dei medici ha rivolto “a nome di tutti gli italiani, un saluto riconoscente a tutto il personale sanitario”, oltre che la “commossa vicinanza ai familiari dei caduti per la salvaguardia della salute di tutti”. E ha sottolineato che “il sistema sanitario nazionale, pur tra le tante difficoltà, sta fronteggiando una prova senza precedenti e si dimostra più che mai un patrimonio da preservare e su cui investire, a tutela dell’intera collettività”.
I primi periodi sono stati caotici, il personale sanitario ha dovuto contrastare con i pochi mezzi che aveva a disposizione una epidemia della quale non si conosceva niente, mancavano camici, guanti, mescherine e respiratori. Poi con il passare del tempo si sono strutturate delle procedure efficaci e si sono trovati dei modi per combattere quello che da molti è stato definito un “nemico invisibile”.
L’Italia finisce il lockdown, tutto fermo, negozi chiusi, persone costrette a casa, il mondo si ferma. Inizia il lungo inverno delle imprese, costrette a rivedere la programmazione e nel peggiore dei casi a mettere i dipendenti in cassa integrazione. In tante non ce la fanno e sono costrette ad abbassare la serranda per sempre. È il periodo dei Dpcm di Conte, delle interviste ai virologi che diventano le nuove star dei salotti televisivi, delle autocertificazioni, dei ristori e dei notiziari che di giorno in giorno raccontano l’evolversi della pandemia, un vero e proprio bollettino di guerra.
Poi arriva l’estate, sembra che il Covid non esista più, tutti sentono il bisogno di uscire, di svago e libertà. Con il caldo pare il virus sia più debole, poi torna l’autunno e riprendono le chiusure e l’Italia viene divisa in zone di rischio. Arriva però anche la speranza del vaccino, prima Pfizer-Biontech che per un periodo vola in borsa e poi Astrazeneca e il russo Sputnik V. Ma la vaccinazione va a singhiozzo, in alcune regioni funziona, in altre meno, poi iniziano a mancare le dosi, forse perché acquistate da altri paesi a prezzi più alti.
Cade il governo Conte bis, viene chiamato Draghi che si pone subito l’obiettivo di ripartire spediti con le vaccinazioni e rimettere insieme i pezzi del tessuto economico-industriale del nostro Paese. Un anno che ha cambiato il mondo per sempre, ma non come tanti speravano all’inizio in meglio.
L.M.