“È verosimile ritenere che le risorse messe a disposizione dal decreto Cura Italia, dal decreto Liquidità e dal programma Garanzia Italia abbiano avvantaggiato soprattutto le banche e le imprese che comunque avevano già ottenuto un prestito prima dell’avvento del Covid”, a lanciare l’ipotesi è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, dopo aver analizzato i dati degli impieghi erogati dagli istituti di credito alle aziende tra la fine di marzo e il 30 settembre.
A fronte di un volume di 94,7 miliardi di euro di prestiti garantiti erogati dalla Sace alle grandi aziende e dal Fondo di garanzia alle Pmi, secondo la Cgia lo stock complessivo dei prestiti bancari alle imprese è aumentato di soli 32,5 miliardi di euro.
“Come mai – chiede il coordinatore dell’Ufficio studi, Paolo Zabeo – solo un terzo delle garanzie, che per legge dovevano coprire la quasi totalità degli impieghi erogati con questi strumenti, è finito nelle tasche degli imprenditori? Gli altri 62 miliardi, che fine hanno fatto? Sono rimasti incagliati nei meandri delle burocrazie ministeriali o per caso sono finiti nei caveau degli istituti di credito? Nulla di tutto ciò. Una parte delle nuove garanzie è andata a colmare i cali fisiologici del credito in essere, e nella sostituzione dei prestiti a breve con aumenti di quelli a medio-lungo termine“.
E Zabeo continua: “È altresì possibile che il sistema bancario abbia usato una parte di questi miliardi anche per abbattere i propri rischi, sostituendo le garanzie legate ai prestiti che aveva erogato prima dell’avvento di queste novità legislative. Una condotta che sicuramente ha favorito le banche, che così facendo hanno azzerato i rischi di incorrere in crediti deteriorati, e in parte anche le imprese – conclude – almeno quelle che prima di marzo avevano delle linee di credito aperte con gli istituti”.