Si è concluso ieri il processo di primo grado del Tribunale di Treviso, per il crac della North East Service, per il quale era chiamato a risponderne l’ex patron del gruppo di vigilanza privata, Luigi Compiano, erede del gruppo di famiglia, fondato negli anni Venti dal bisnonno e poi portato avanti dal padre Arnaldo, fine collezionista d’arte e ricordato come grande mecenate.
Sei anni e sei mesi di reclusione, la condanna per il reato di bancarotta e per reati fiscali con confisca di beni mobili e immobili per un valore di 3,6 milioni di euro e una previsionale in favore delle parti civili, di 36 milioni di euro, immediatamente esecutiva. E poi ancora, l’interdizione a vita dai pubblici uffici e tutte le pene accessorie, per un totale di 10 anni.
Il pubblico ministero Massimo De Bortoli, che aveva chiesto una condanna a nove anni, “ritenendo le aggravanti equivalenti alle attenuanti generiche”, si è detto comunque soddisfatto per la decisione presa dal collegio dei giudici, di qualificare il reato come bancarotta e non come semplice appropriazione indebita, come era stata definita, in un primo tempo, dal giudice delle indagini preliminari.
La vicenda della North East Service aveva destato un certo clamore in tutto il Trevigiano, dove molte case e aziende erano protette dalla vigilanza privata Compiano e dove non poche realtà economiche di prestigio, come Intesa San Paolo, Veneto Banca, Ikea e molti supermercati usufruivano del “servizio caveau” della società.
Luigi Compiano aveva preso l’abitudine “compulsiva e incontrollabile”, di sottrarre il denaro dei propri clienti, custodito nel caveau, per acquistare auto d’epoca e di prestigio, circa 400 esemplari, oltreché un centinaio di moto e una settantina di imbarcazioni. Il sistema aveva retto finché un giorno, Veneto Banca e intesa San Paolo chiesero di riavere indietro i loro depositi in contanti, qualche decina di milioni di euro, ma anziché i soldi, furono rinvenuti una trentina di assegni, firmati dallo stesso Compiano, a titolo di garanzia, per quanto sottratto.
In particolare la cosa che aveva colpito un po’ tutti, era che Compiano accumulava macchine, moto, biciclette e imbarcazioni solo per stiparle in vari magazzini sparsi nel Trevigiano, ma mai per farne mostra in pubblico, per ostentare. Inoltre la sua famiglia, che era molto radicata e stimata nel territorio, anche per ragioni culturali, per la casa editrice di proprietà, aveva finanziato nel tempo molte attività benefiche. Oggi di tutto questo non esiste più nulla, tutto e tutti sono stati travolti dal caso giudiziario.
L’avvocato difensore di Luigi Compiano, Piero Barolo, noto penalista trevigiano, che aveva chiesto ai giudici che venisse riconosciuto “il vizio parziale di mente” del suo assistito, che appare affetto da “disturbo ossessivo-compulsivo”, ha già annunciato l’intenzione di ricorrere in appello.