La crisi di governo, sempre minacciata, ieri alla fine è esplosa. Renzi ha ritirato le sue ministre e Conte adesso cercherà altre sponde per vedere se ha ancora i numeri per far sopravvivere il governo. In tutto questo slitta a data da destinarsi il via libera definitivo al Recovery plan, che adesso non è certo la priorità delle forze di “maggioranza”.
Di parere contrario invece è il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che, intervistato da Federico Fubini del Corriere della Sera, dice la sua sulla situazione che il Paese sta vivendo e che prospettive ci sono per rilanciare la ripresa economica. Torna a parlare in un momento delicato cercando di definire una lista di priorità.
La prima cosa che si sente di dire è quella di suggerire alla politica di “uscire dalla gabbia dei personalismi: è la vera emergenza. Si tende troppo a personalizzare e a cercare lo scontro ideologico. Nessuno parla più della realtà, ma la realtà bussa alla porta e presenta il conto”.
Questo impedisce che si possano stabilire dialoghi costruttivi tanto che Bonomi sottolinea che: “Abbiamo buoni rapporti con singoli ministri, ma nel complesso questo è stato un governo molto chiuso su se stesso. Non ci ha mai dato risposte: zero sul piano Italia 2030 che portammo agli Stati generali, zero sul piano 2030-2050 che abbiamo presentato all’assemblea generale”. Il governo non può certo diventare una propaggine di Confindustria ma Bonomi dice “ci piacerebbe essere consultati. In fondo l’industria manifatturiera è quella che tiene in piedi il Paese, è il settore che genera indotto per i servizi ed è quello che va meglio: nel 2019, in piena crisi e nel silenzio generale, il manufatturiero italiano è persino salito di una posizione da ottavo a settimo nel mondo”.
Sul Recovery plan approvato l’altra sera in Consiglio dei ministri dice: “Siamo molto critici. Si è arrivati ad approvarlo senza dibattito né confronto. Non ci hanno mai interpellati. Quanto alla sostanza, ho cercato di leggerlo più volte ma non ci ho trovato una visione. Non c’è il senso di quale Paese vogliamo costruire. Non si parla di come rendere la società più moderna, inclusiva, aperta ai giovani e alle donne. Non c’è un percorso per il Sud. Non sono indicate riforme, obiettivi, indicatori di performance. Non ci sono i rendimenti attesi degli investimenti. Quasi non si parla di fisco. Non è il progetto adatto a cogliere un’occasione unica”.
Eppure i progetti presentati sono stati tanti, ma come insiste Bonomi: “A volte non se ne capisce la coerenza. Sui porti, si parla solo di quelli del Nord. La parte sui trasferimenti tecnologici di fatto è una nazionalizzazione. Poi ci dicono che vogliono costruire 753 ospedali, quando da noi mediamente ci vogliono vent’anni per farne uno. Ma anche bastassero sei mesi, mi chiedo: ne hanno parlato con le Regioni, dato che la sanità è loro? Non credo, perché non hanno consultato nessuno. Che credibilità ha un documento già blindato da un accordo politico prima di sentire chiunque?“.
La riflessioni spazia anche al Mes, ceh il presidente di Confindustria considera da attivare, e poi dice: “Nessuno parla più dei progetti. E questo è uno dei tanti aspetti che stanno sfibrando gli italiani. Il Paese è sfiduciato, non ne può di decisioni che cambiano ogni pochi giorni o di scoprire solo nelle conferenze stampa della domenica sera cosa si potrà fare al lunedì. La stessa proroga dello stato di emergenza va oltre i limiti di legge, non è più solo un atto amministrativo. Ma si dà per scontata, come se il Paese avesse mollato”.
Nel 2020 e 2021 il deficit si è assestanto intorno al 10% del Pil, mentre il debito continua a crescere e si prevede un nuovo scostamento di bilancio per trovare i soldi per pagare i ristori: “Il problema del debito lo ricordiamo da mesi, ma siamo stati attaccati da tutti. Poi però, anche qui, c’è la realtà. Siamo appena al 12 gennaio e stiamo già facendo uno scostamento di bilancio da 24 miliardi. Usiamo 65 miliardi del Recovery a copertura di provvedimenti già presi. E l’Europa non sarà disposta per sempre ad accettare un continuo aumento del debito. Chiediamoci ora cosa succederà quando gli altri Paesi ripartiranno, se noi restiamo fermi come in passato”.
Per quanto riguarda le politiche attive del lavoro Bonomi dice: “La risposta del governo fino ad ora è proporre 11.200 assunzioni fra Anpal (l’Agenzia nazionale per il lavoro), navigator e centri per l’impiego. Non ci siamo. È impensabile fare una riforma del genere senza aver sentito né l’industria, né i sindacati. Apriamoci alle agenzie private che vivono a contatto delle imprese, conoscono le loro esigenze e sono in grado di prendere in carico i disoccupati per formarli e trovare loro un posto. Qui nessuno vuole licenziare e nessuno vuole lasciare le persone senza reddito. Ma ormai rischiamo un dramma sociale e il modello di cassa integrazione d’emergenza Covid alla lunga non può funzionare”.
Bonomi conslude spiega che: “L’Istat stima che un terzo delle imprese italiane siano fortemente a rischio. Non significa che siano tutte destinate a fallire, ma è un numero che fa pensare anche perché la crisi non inizia oggi. Prima della pandemia il Pil era ancora del 4% sotto ai livelli del 2008 e dal 2017 abbiamo perso 32 mila imprese manifatturiere. Come ho detto: è tempo che la politica esca dalla gabbia dei personalismi e guardi in faccia la realtà“.