Non è certo la prima volta che accade, ma questa volta la vicenda rischia di ingarbugliarsi in modo quanto mai critico.
Diciotto pescatori siciliani di Mazara del Vallo, da oltre dieci giorni sono in stato di fermo in Libia; accusati di avere sconfinato in acque territoriali libiche e quindi arrestati al largo di Bengasi dalle forze fedeli al generale Khalifa Haftar, rais della Cirenaica, la parte orientale del Paese.
A complicare la situazione e a dar l’idea che i pescatori siano diventati in men che non si dica veri e propri ostaggi, è però il fatto che i libici abbiano chiesto, come contropartita per la loro liberazione, la scarcerazione di alcuni “calciatori in cerca di fortuna” detenuti nelle carceri italiane. I “calciatori”, come definiti dalle autorità fedeli ad Haftar, per la giustizia italiana sono però scafisti: condannati dal Tribunale di Catania a 30 anni di carcere per traffico di esseri umani ed omicidio.
Quanto avvenuto s’inserisce in un momento ancora delicatissimo per lo scenario libico. Haftar, appoggiato, anche se talora controvoglia, da un’ampia coalizione composta da Francia, Russia, Egitto ed Emirati, da mesi combatte contro il governo libico riconosciuto dall’ONU del premier al-Serraj, al cui fianco è, formalmente, schierata anche l’Italia.
In crisi per il mancato sfondamento ad Ovest, con una difficilissima congiuntura economica e assediato da proteste di piazza che hanno interessato le principali città sotto il suo controllo, Haftar sembra cercare, con questa trovata dal grande clamore mediatico, di soddisfare la pancia dell’esausto e irascibile popolo libico. Mescolando, in modo subdolo, i mai sopiti sentimenti anti-coloniali, la tutela delle risorse ittiche, la slealtà dell’Italia nell’allearsi con il nemico al-Serraj e il destino di alcuni cittadini libici – i “calciatori” – spacciati come vittime del sistema giudiziario italiano.
Haftar sembra, in altre parole, volerla far pagare all’Italia; e questa situazione casca a fagiolo per permettergli di fare la voce grossa e confermare la sua fama di “uomo forte”. Spetterà alle diplomazie cercare di sbrogliare questa intricata matassa che, sin da subito, si è rivelata essere più complicata delle consuete liti internazionali sulle zone di pesca.
Federico Kapnist