Era il 1º novembre del 2010, dieci anni fa, quando i vicentini piombarono in un incubo inimmaginabile, d’altri tempi. Uno di quegli eventi che si crede appartenga al passato, ad un tempo remoto; lontano dal progresso tecnologico che caratterizza il nostro tempo e che talvolta, erroneamente, ci illudiamo possa metterci al riparo dalla forza sovrumana della natura.
Il Bacchiglione, uno dei due fiumi di Vicenza e uno dei principali corsi d’acqua della Regione, esondò, iniziando ad allagare mezza Città. Tutte le zone più basse finirono sott’acqua: contrà San Pietro divenne come un canale di Venezia, con le auto interamente sommerse e i vigili del fuoco che la navigavano su di un canotto; ponte Pusterla praticamene sparito; piazza Matteotti un lago; il rione Barche totalmente allagato; villa “la Rotonda” una sorta di Mont Saint-Michel con l’alta marea. E via così.
La tempesta perfetta che si era abbattuta sul Veneto – le alte temperature che avevano fatto sciogliere rapidamente la prima neve caduta in montagna, le intense precipitazioni e soprattutto il fortissimo vento di scirocco che impediva ai fiumi di riversarsi in mare – aveva comportato un’alluvione come non si vedeva dal lontano 1966; e che colpì principalmente il capoluogo berico e le sue campagne.
Un morto, decine di feriti, migliaia di animali spazzati via. Danni per milioni di euro; capannoni, cantine e garage allagati con perdite di automobili, macchinari, merce, ricordi. Una delle città più belle e ricche del Nord Italia completamente bloccata per giorni, preda della forza devastante della natura che aveva fatto uscire dai suoi argini quel fiume considerato innocuo e che, invece, a leggere il passato tale non era sempre stato. E che in quella sua ultima debordata, coinvolse anche tutti i territori limitrofi, a valle e a monte di Vicenza, con il paese di Caldogno flagellato in modo particolare.
Quei giorni formarono un ricordo indelebile nella memoria collettiva della Città. E che torna a farsi sentire ad ogni pioggia incessante che innalza i livelli del Bacchiglione; inevitabilmente. E nonostante la realizzazione di grandi opere idrauliche realizzate, negli anni a venire, lungo gli argini nelle campagne antistanti Vicenza, creando zone destinate all’invaso qualora il Fiume avesse nuovamente minacciato la Città.
Nei giorni dell’alluvione, come sovente accade nelle tragedie, emerse il meglio della Città: il sindaco Variati che insieme ai pompieri girava, in barca, per le vie più colpite sincerandosi della condizione degli abitanti; tutte le forze dell’ordine e la Protezione Civile impegnate per aiutare la popolazione; soprattutto, centinaia e centinaia di “angeli del fango”, che in men che non si dica si resero disponibili a ripulire le strade e aiutare lo sgombero delle numerosissime cantine allagate.
La solidarietà e la laboriosità di quei giorni, restano da allora impressi nella memoria collettiva come un collante straordinario e commovente di una Città che, da sola, seppe subito rialzarsi e ripartire.
Federico Kapnist