Se pensate che il Giappone sia estremo Oriente, sappiate che c’è una regione della Russia che è ancora più ad Est del Paese del “Sol Levante”. Una regione remota, letteralmente dall’altra parte del mondo; conosciuta in Italia, più che altro, per l’importanza strategica che riveste in uno dei più divertenti e amati giochi da tavolo, “Risiko”.
Il territorio in questione è la Kamchatka, penisola all’estremità orientale della Federazione Russa. Oggi salita (o sarebbe meglio dire scesa) all’onore delle cronache come ennesimo simbolo del degrado delle infrastrutture ereditate dal sistema sovietico. Una moltitudine di fabbriche, edifici e basi militari oramai fatiscenti di cui il gigante eurasiatico, nonostante la grande crescita economica del ventennio a guida Putin, è ancora ostaggio.
L’episodio che ha scatenato il panico in Kamchatka, è stata una vastissima moria di pesci e altri esemplari di fauna marina lungo le coste. Provocata, pare, dallo sversamento nell’acqua di due fiumi locali – Mutnaya e Nalicheva – di sostanze tossiche provenienti da un impianto di stoccaggio di rifiuti chimici poco distante. Materiale evidentemente conservato in modo mediocre; e che nel suo lento cammino di morte è arrivato sino al mare, facendo tabula rasa dell’ecosistema marino autoctono.
Prime analisi hanno riscontrato nell’acqua oggetto di avvelenamento, dei livelli di tossicità quattro volte superiori a quelli compatibili con la sopravvivenza degli organismi biologici. Si attende ora una risposta dalle autorità russe; notoriamente ancora poco inclini a dare il giusto peso alle conseguenze delle catastrofi ambientali.
Federico Kapnist