Uno studio dell’Università di Padova, in collaborazione con la Fondazione Santa Lucia di Roma, sugli effetti indotti dal lockdown in relazione alle abilità mentali nella vita quotidiana, ha svelato come le misure di restrizione adottate per contrastare la diffusione del Covid-19 abbiano esposto le persone ad una forma di stress collettivo, senza precedenti, tanto da arrivare a coniare il termine di “psico-pandemia”.
Lo studio, nato un po’ per caso e pubblicato anche sulla prestigiosa rivista scientifica “Plos One”, come ha voluto evidenziare Giorgia Cona, professoressa del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova e del Padua Neuroscience Center, si prefiggeva di indagare proprio le conseguenze dello stress da lockdown a livello di funzionamento cognitivo.
La professoressa Cona infatti aveva notato dei cambiamenti nella percezione del tempo e nella concentrazione, una specie di campanello d’allarme, che l’ha portata ad organizzare un’indagine online, che nella primavera scorsa ha sondato 1215 persone, che hanno fornito “indicazioni tanto precise quanto sorprendenti”.
Tutti i partecipanti allo studio hanno confermato quelle che erano state le sensazioni della professoressa, “riportando maggiori difficoltà cognitive in tutte quelle attività della quotidianità, che richiedevano attenzione, concentrazione e pianificazione. Abbiamo invece osservato un miglioramento della memoria, nel senso che sono state riferite meno dimenticanze, dato facilmente riconducibile alla riduzione degli impegni e ad una vita meno frenetica”.
Ma oltre ai disturbi delle attività cognitive, lo studio ha messo in evidenza anche tutta una serie di altri disagi causati dal lockdown, primi tra tutti, quelli legati al sonno e poi delle alterazioni nell’appetito e nella libido, “anche se l’aspetto più allarmante riguarda la preoccupazione per la salute: il 36% ha registrato forti segnali di ansia e il 32% sintomi depressivi”.
La fascia di popolazione più vulnerabile è quella delle persone al di sotto dei 45 anni, in particolare quella delle donne, disoccupate o che lavorano da casa.
Come ha voluto sottolineare Eleonora Fiorenzato, sempre dell’Università di Padova e prima autrice dello studio, “tra i fattori che hanno influito di più nell’insorgere di stati d’ansia e depressione, c’era l’essere residenti in zone ad alto tasso di contagio, ma anche la maniacale ricerca di notizie relative alla pandemia”.