Russia Unita, il partito russo legato al presidente Vladimir Putin e alla sua schiera di fedelissimi, ha vinto le elezioni parlamentari che si sono tenute in Russia durante il fine settimana.
Con il 49% delle preferenze, e grazie al sistema in vigore in Russia (che prevede un proporzionale con premio di maggioranza), Russia Unita dovrebbe ottenere 315 seggi su 450. Meno dei 334 con cui arrivava alle elezioni; ma comunque sufficienti a detenere i 2/3 dell’Assemblea – che significa possibilità di mettere mano alla Costituzione.
Grande ritorno dell’intramontabile Gennadij Zjuganov; che, a causa del morso della crisi economica legata in buona parte alla pandemia, con il suo Partito Comunista sfiora il 20%. Riavvicinandosi, quindi, alle percentuali degli anni ’90. Terzo posto, come sempre, per i Liberal-Democratici di Zhirinovsky, con il 7,5%.
La notizia, se di notizia si può parlare, è che quindi “il blocco di Putin” – composto da Russia Unita, Partito Comunista e Liberal-Democratici (che a dispetto del nome sono una forza marcatamente nazionalista) – ottiene quasi l’80% dei voti. E dimostra come, a dispetto di quel che si pensa in Occidente, la più forte opposizione allo Zar sia costituita non da liberali e filo-occidentali; ma, al contrario, da nostalgici dell’Unione Sovietica e nostalgici dell’Impero zarista. Ai quali in fondo, però, Putin va comunque più che bene.
Il partito Jabloko, l’ex formazione di Navalny orientata al liberalismo, ottiene un misero 1%. Il resto della torta se lo spartiscono partiti minori; tra cui alcuni, vedi Russia Giusta, che fanno parte della cosiddetta “opposizione sistemica”. E che possono essere quindi compresi nel suddetto “blocco di Putin”.
Delusione per Alexey Navalny: il suo progetto di smart voting (che invita a votare contro i candidati di Russia Unita) naufraga anche grazie al rifiuto delle principali piattaforme online (Google, Apple e Telegram) di sostenerlo. Brogli elettorali sono stati denunciati dal suo portavoce e dalla moglie.
Federico Kapnist