Nelle elezioni parlamentari venezuelane svoltesi nella giornata di ieri, a vincere è stata soprattutto l’astensione: appena il 31% degli aventi diritto si è infatti recato a votare.
A vincere, in ogni caso, è stata una coalizione socialista guidata dal Nicolas Maduro, che ha ottenuto più del 67% dei voti. Maduro ha definito il risultato “una grande vittoria”, in grado di restaurare l’Assemblea Nazionale (il parlamento venezuelano, ndr) estromettendo di fatto l’autoproclamatosi “presidente ad interim” dell’Assemblea, Juan Guaido.
Guaido, nel 2019, aveva guidato un movimento di protesta per rovesciare Maduro ed insediare un nuovo governo filo-americano. Per portare a compimento la missione, non aveva esitato a mettere in atto un colpo di stato spalleggiato, seppur molto timidamente, da Washington. Il golpe, piuttosto raffazzonato, non aveva avuto seguito tra la popolazione e l’esercito venezuelano; risolvendosi piuttosto rapidamente senza registrare, se non altro, spargimenti di sangue e violenze.
Oggi, sostenuto anche dagli Stati Uniti – che per bocca del segretario di stato, Mike Pompeo, hanno definito le elezioni una “farsa che non riflette le volontà del popolo venezuelano – Guaido sta gridando ai brogli denunciando irregolarità nelle procedure di voto e falsificazione dei risultati.
A schierarsi dalla parte di Guaido, oltre che Washington, anche il Canada; che per bocca del suo ministro degli Esteri ha affermato di “non riconoscere i risultati elettorali” ma, allo stesso tempo, di volersi schierare dalla parte della democrazia.
Le autorità di Caracas hanno, ovviamente, respinto le accuse al mittente e garantito la legittimità del voto.
Federico Kapnist