La FABI (Federazione Autonoma Bancari Italiani) ha redatto un dossier nel quale, attraverso lo studio dei dati provenienti da diverse fonti quali Banca d’Italia, Bce, Commissione Ue, Confindustria, Eba e Fmi, emerge il modo in cui i diversi Paesi europei hanno afffrontato la pandemia.
Si sa che crisi eccezionali richiedono risposte altrettanto decise e nessun Paese è stato risparmiato, con il segno “meno” nella crescita del prodotto interno lordo che purtroppo è una costante. La Crisi del Grande Lockdown costerà complessivamente circa 8 mila miliardi di euro a livello mondiale e i suoi effetti devastanti su produzione, redditi, salari, consumi e occupazione hanno spinto tutti i paesi ad adottare imponenti politiche di bilancio per contenere un disastro economico inatteso e senza precedenti.
L’impegno di ciascun Stato è passato principalmente per risparmi fiscali, investimenti pubblici, aiuti di Stato alle imprese e prestiti bancari garantiti e alcune misure hanno già prodotto effetti positivi, contenendo i danni più immediati del lockdown come disoccupazione e insolvenze di imprese e famiglie. Il tutto però non è avvenuto in maniera omogenea, e si corre il rischio che non producano gli effetti sperati in futuro.
C’è chi, come Francia, Germania – ha impiegato tra gli 8 e i 15 giorni per l’approvazione delle prime misure a sostegno dell’economia locale e chi, come la Spagna, ha atteso ben tre settimane. Situazione complessa anche per l’Italia che ha lasciato famiglie e imprese con il fiato sospeso per più di venti giorni. Ma se le premesse e i tempi non sono stati rassicuranti, per il nostro Paese la strada delle garanzie pubbliche sui prestiti unitamente a quella degli aiuti di Stato alle imprese ha assicurato un po’di ossigeno in più rispetto ad altri Paesi europei, seppure con i dovuti ostacoli e rallentamenti.
A livello europeo, il sistema produttivo ha accumulato perdite per ben 1000 miliardi di euro. Nel panorama europeo, le imprese più vulnerabili sono state quelle tedesche e francesi che hanno accantonato più di 400 miliardi di euro di perdite a fine 2020. Il contraccolpo economico subito invece da quelle italiane ha raggiunto la somma di 175 miliardi di euro, pressoché in parità con la Spagna (155 miliardi di euro di perdite). Di tutti gli aiuti di Stato autorizzati nel panorama europeo (circa 3mila miliardi di euro), più della metà sono stati emessi dal solo governo tedesco mentre Italia, Francia e Spagna seguono a distanza. Il più esiguo pacchetto di misure di aiuti alle imprese è quello della Francia che, fino a questo momento, ha stanziato solo il 13,7% del suo Pil, seguita da Italia e Spagna con percentuali pari rispettivamente al 17% e al 20%.
La Germania sembra surclassare tutta l’Europa e pone rimedi ai danni del proprio sistema produttivo nazionale con uno sforzo economico quasi raddoppiato rispetto alla media degli altri Paesi e pari al 28,9% del prodotto interno lordo. Peccato però che la generosità tedesca non sia stata affiancata da altrettanta tempestività, perché solo 8% dei fondi statali è stato messo a disposizione delle imprese locali fino a questo momento, confermando che il modello della Germania potrebbe non essere così efficiente tanto da essere un esempio da seguire.
La Germania si conferma anche al primo posto nella classifica delle misure di sostegno quali prestiti bancari e garanzie, con 821 miliardi di euro. L’Italia segue a ruota, sebbene con una cifra dimezzata per le garanzie messe a disposizione del Paese (400 miliardi di euro), seguita da Francia e Spagna. L’Italia è fanalino di coda anche per la quota di prestiti già erogati, con una percentuale del 25% rispetto al 33% della Spagna e al 36% della Francia. I fondi stanziati dal governo, sul fronte delle garanzie, per le imprese italiane che hanno subito un crollo del giro di affari durante la pandemia, non arrivano, in termini di prestiti bancari concessi, a 100 miliardidi euro (dato aggiornato a settembre 2020), valore inferiore anche a quello di Spagna e Francia.
Inoltre non c’è crisi economica in cui gli investimenti pubblici non abbiano avuto un ruolo cruciale per stimolare la crescita, creare posti di lavoro e fungere da catalizzatore anche per gli investimenti privati. La storia ci insegna che spendere circa 1 milione di euro in infrastrutture, significa creare dai due agli otto nuovi posti di lavoro, mentre tra i cinque e i 15 se la stessa cifra si concentra anche sulla spesa per ricerca e sviluppo. Lo sa bene il governo francese che, in media, ha previsto di investire risorse pubbliche pari al 3,8% e il 3,3% del Pil sino al 2022, seguiti dalla sola Germania che si attesta al 2,8% del suo prodotto interno lordo.
L’andamento degli investimenti sarà più lento in Italia, dove si prevede un modesto 2,7% del pil pre-pandemia. Resta da sperare che l’Italia, ultima assieme alla Spagna, ripensi al suo “moltiplicatore fiscale” per i prossimi due anni e raggiunga il giusto equilibrio tra tempi di realizzazione – sempre molto lunghi – e settori di intervento. Mantenere la qualità dei progetti di investimento sarà essenziale ,ma ancor di più assicurarne la realizzazione perché, se dalle crisi nascono nuove e sfidanti opportunità, è necessario saperle afferrare.
Infine, da un confronto con Francia, Spagna e Germania, il “Piano Marshall” post-Covid (Recovery fund) per l’Italia mette in campo risorse importanti, che rappresentano circa il 28% della spesa complessiva finanziata dal governo europeo. L’operazione di rilancio per il nostro Paese vale circa 209 miliardi di euro, un terzo di questa cifra previsto a fondo perduto. Sebbene privo di tutti i dettagli, il budget totale sarà destinato alla modernizzazione del Paese e alla transizione “verde”, passando in primis per le infrastrutture.
L’obiettivo è allineare il Paese alla prestazione degli altri Stati membri dell’Unione Europea e, in coerenza con l’obiettivo Ue, i riflettori per l’Italia saranno puntati su digitale e ambiente. La capacità di cogliere il cambiamento e investire nei settori meno sviluppati potrebbe pagare molto nell’immediato futuro anche per l’Italia e, se la stessa non brilla per spesa dei fondi europei, l’auspicio è che impari da quello che non ha funzionato in passato e non sprechi un’occasione unica come quella appena descritta.
La scelta di contaminare con la tecnologia le imprese italiane e puntare alla sostenibilità impegnerà metà dei fondi europei per l’Italia. Se al “verde”è destinato il 31% delle risorse totali, anche la trasformazione digitale assorbirà una cospicua parte dei fondi complessivi, pari al 20% del totale. La percentuale è in linea con le previsioni di spesa della Germania nello stesso settore e quattro volte più alta rispetto alla Francia. Solo la Spagna, finora poco attenta a digitale e ambiente, destinerà maggiori risorse ai due comparti, con percentuali rispettivamente del 37% e 33%.