La Fipe (federazione italiana pubblici esercizi di Confcommercio) inizia a fare la conta dei danni: l’ufficio studi dell’Associazione stima per il Veneto almeno 3.500 locali in meno. Sono bar e ristoranti che non riapriranno più. Secondo i dati Istat, i pubblici esercizi in Veneto sono 26.833, una moltitudine di piccole attività capaci di generare, pre-Covid, 5.9 miliardi di euro di fatturato, di erogare 1,18 miliardi di euro di stipendi a 124.414 occupati che oggi sono ancora in cassa integrazione e che non avranno, una volta finita la cassa integrazione, un posto di lavoro.
Di fatto, si tratta di tredici locali chiusi ogni cento. Dati pesanti che traducono l’entità del danno. Eugenio Gattolin, segretario di Fipe Veneto, spiega che: “Dopo 11 mesi di chiusure e mezze aperture la sensazione netta è che moltissimi pubblici esercizi non riapriranno. Il combinato disposto è micidiale per ristoranti e soprattutto per i bar, il problema sono le città svuotate di lavoratori tutti in smart working e la sparizione del turismo. I ristori bastano appena a coprire parte delle spese vive che corrono: affitto dei locali, canoni fissi di luce, acqua, gas e telefono e così via”.
A questa situazione aggiunge quella dei lavoratori: “In molti sono demotivati perché manca una prospettiva. Impossibile anche chiedere un prestito perché non si sa per quanto e di quanto… Pagheremo un costo sociale molto importante per queste attività spesso considerate ancillari e che invece non lo sono”.
A soffrire di più sono i bar, per i quali l’asporto fa poco, lo segnala la Coldiretti: con lo stop and go di ordinanze e Dpcm il conto per ristoranti ed agriturismi in Veneto arriva al mezzo miliardo solo nel mese di gennaio. Il conto lo pagheranno “26mila ristoratori e oltre mille agriturismi su cui il divieto di ogni attività al tavolo è pesata come un macigno”. Andrà meglio una volta tornati in zona gialla? A giudicare dalle prime migliaia di attività che si sono arrese pare di no. “Con i ritardi nei vaccini si rischia di dare il colpo di grazia ai consumi alimentari fuori casa – accusano gli agricoltori – che lo scorso anno erano già scese al minimo da almeno un decennio con un crack senza precedenti per la ristorazione che dimezza il fatturato (-48%) per una perdita complessiva di quasi 41 miliardi di euro, secondo le nostre stime su dati Ismea”.
A questo si sommano altri problemi, come la controversa legge regionale che modifica gli agriturismi trasformandoli, di fatto, in hotel fino a 60 stanze. Al momento la si discute in sesta commissione regionale, ma pare di capire che l’alzata di scudi partita da Confturismo stia sortendo l’effetto desiderato, anche con l’appoggio dei consiglieri di FdI dovrebbe essere bocciata o quanto meno ridimensionata.
L’allarme arriva anche da Assoturismo Confesercenti: “Il progetto di legge in discussione sugli agriturismi finirà per favorire ulteriormente un settore, la cui dinamicità è anche frutto di un inquadramento fiscale e normativo ben più favorevole, a scapito di un altro che attualmente è invece pesantemente condizionato da autorizzazioni, obblighi, controlli e imposte”, sottolinea il presidente Francesco Mattiazzo che ha preso carta e penna per scrivere ai presidenti della terza e sesta commissione di Palazzo Ferro Fini. Sulle barricate anche l’Ava, associazione degli albergatori veneziani, che stima perdite economiche all’85%.