Le prime, numerose avvisaglie, di come non convenga scherzare troppo con le forze dell’ordine francesi, si erano avute durante la stagione dei gilet gialli. Nei celebri e numerosi sabati di protesta contro le misure economiche, iniziati nel 2018 e proseguiti fino all’avvento del Covid, si era infatti assistito a modi di fare piuttosto rudi e violenti da parte degli agenti transalpini contro i manifestanti.
Questa volta, però, a far scoppiare le proteste in tutta la Francia, e in particolare a Parigi, sono stati due episodi: il primo, un video che attesta la violenza di alcuni agenti ai danni di un uomo di origine africana condito, pare, da insulti di stampo razzista; il secondo, la proposta di legge per proibire la pubblicazione di fotografie e video che ritraggano poliziotti in servizio e che danneggino, quindi, la loro “integrità fisica o morale”.
È stato in particolare l’ultimo episodio, ad aver acceso la miccia della protesta in grande stile. La riforma rientra in un progetto più ampio che prende il nome di “sicurezza globale”; e che vuole il partito “En Marche!”, centrista, del presidente Emmanuel Macron, dare un giro di vite sul crescente problema della sicurezza in Francia. Dotando la polizia, nazionale e locale, di più ampi poteri; e arrivare a consentire l’uso di droni di sorveglianza nelle aree più ad alto tasso di criminalità.
Nello specifico, la proposta di vietare la pubblicazione delle immagini degli agenti – interpretata come una “legge bavaglio” che impedisce di smascherare e identificare le forze dell’ordine colpevoli di violenze – è stata fortemente contestata in diverse città: Parigi, Bordeaux, Lione, Grenoble, Marsiglia e altre ancora.
A protestare, insieme a migliaia di cittadini, sono state le organizzazioni dei diritti civili, insieme a giornalisti e oppositori politici; sostenuti dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU che ha criticato la proposta. Pericolosa, a suo dire, in quanto capace di dare una sorta d’immunità alla polizia proprio a seguito delle numerose violenze contro i gilet gialli che avevano fatto il giro del mondo.
Le autorità competenti hanno negato questa possibile deriva, ponendo invece l’accento sul crescente pericolo sopportato dagli agenti che si trovano ad operare in zone a rischio. Che, come è logico intuire, sono sempre le periferie delle grandi città, ad alto tasso di immigrazione.
Federico Kapnist