Ieri sera il programma di Raitre «Report» ha riacceso i riflettori sulla sanità veneta. Durante la trasmissione viene detto che il virologo Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di Microbiologia dell’Università di Padova, era stato uno dei volti del successo della prima ondata, ma durante la seconda era stato messo da parte e sarebbero rimasti inascoltati i suoi allarmi sull’attendibilità dei tamponi rapidi, molto usati dal Veneto.
Ma partiamo dal caso Vo’, celebrato per la velocità delle misure di contenimento messe in atto. Era stato proprio il prof. Crisanti a chiamare Zaia dopo la chiusura di Vo’ chiedendo alla Regione di finanziare uno screening di massa perché aveva avuto l’intuizione sul pericolo dei soggetti «asintomatici», che avrebbero potuto diffondere il virus.
“La seconda ondata — ha spiegato Crisanti ai microfoni di Raitre — è caratterizzata, penso, dall’obiettivo politico della regione di dimostrare che era tutto merito loro quello che era stato fatto nella prima ondata e che quindi praticamente avrebbero potuto fare a meno di me”. Durante la prima ondata il Veneto ha avuto meno deceduti rispetto alla media italiana, mentre nella seconda, dice Report, è stato un disastro. Il giornalista Danilo Procaccianti dà spazio anche a Zaia, il presidente del Veneto, “a marzo, senza dispositivi, non avevamo le mascherine, non sapevamo nulla del virus, non avevamo i tamponi, sono morti meno anziani che in un altro periodo dell’anno, cioè a novembre/dicembre, quando avevamo dispositivi, avevamo le mascherine e avevamo la diagnostica”.
Report si concentra poi sulla questione dei tamponi rapidi, sui quali il Veneto aveva in un primo momento scommesso. A settembre 2020 il professor Andrea Crisanti condusse un approfondimento diagnostico rilevando che tre tamponi rapidi (di prima e seconda generazione, oggi superati) su 10 non sarebbero stati affidabili. Lo studio avrebbe quindi sconfessato la strategia seguita della Regione Veneto, la cui esistenza però è stata negata dal direttore generale della sanità veneta Luciano Flor, a quanto pare perchè si rischiava una denuncia da parte della ditta che produce i tamponi.
Altra questione la pressione sugli ospedali e le terapie intensive. I rappresentanti sindacali di medici e infermieri lamentavano le difficoltà organizzative e la necessità di imporre la zona rossa, ma a lungo il Veneto è rimasto in zona gialla. E per abbassare la percentuale di occupazione delle terapie intensiva, che era uno dei parametri più importanti nella valutazione del colore della regione, erano stati aumentati i posti per portarle a 1.016.
Il giornalista parla poi del tracciamento del contagio; Giancarlo Giuseppe Acerbi, sindaco di Valdagno (Vicenza), uno dei comuni più colpiti durante la seconda ondata, spiega chiaramente che “il tracciamento a un certo punto è saltato. Cioè, me lo dicevano i cittadini: ci chiamavano, dicevano mi hanno detto che sono positivo però nessuno mi ha più contattato“. Una dipendente della Regione Veneto ha inoltre spiegato che immettendo nel sistema informatico i nominativi degli assistiti con tampone molecolare positivo, accanto all’esito del tampone compariva automaticamente la voce “asintomatico”. Quindi se per Zaia, ad un certo punto, il 97% dei contagiati era asintomatico (altro valore importante nel calcolo del rischio da parte dell’Istituto superiore di sanità) in realtà forse non era proprio così.