La Birmania (o Myanmar, come la giunta militare decise, nel 1989, di chiamare il Paese in un goffo tentativo di cancellare le proprie malefatte) è ritornata a vivere l’incubo del golpe e della repressione.
Non è certo una novità. In una terra che per oltre 50 anni ha vissuto comandata da un regime militare schizofrenico; capace di distruggere una florida economia a suon di spese folli e imprese strampalate. Su cui spicca la decisione di spostare la capitale, dalla storica e splendida città affacciata sul mare, Rangoon (ora Yangoon), in una nuova città, Naypyidaw, costruita ex novo in mezzo alla foresta per renderla inespugnabile da fantomatici attacchi via mare.
Aung San Suu Kyi – presidente in carica, premio nobel per la Pace, eroina indiscussa del Paese e simbolo dell’emancipazione birmana dal potere dei militari – è stata arrestata ieri insieme a diverse figure di primo piano della politica nazionale e regionale. Tutti i poteri – esecutivo, legislativo e giudiziario – sono stati provvisoriamente trasferiti al capo delle forze armate, Min Aung Hlaing.
La mossa dell’esercito arriva dopo mesi di attacchi contro San Suu Kyi e la delegittimazione del voto dello scorso novembre; in cui il suo partito NDL (Lega Nazionale della Democrazia) aveva stravinto le elezioni con oltre l’80% dei consensi. Con la scusa di presunti brogli elettorali (a cui, in realtà, credono in pochissimi) l’esercito ha quindi deciso di agire per riappropriarsi del potere; dopo che anche la Corte Suprema birmana aveva decretato la regolarità delle elezioni.
Le reazioni internazionali non si sono fatte attendere. Mentre Thailandia, Cambogia e Filippine hanno fatto sapere di non voler intromettersi negli affari interni del Myanmar, e la Cina ha per il momento optato per il silenzio sulla questione, aspre critiche alla mossa dei militari sono arrivate dalle Nazioni Unite, dai paesi occidentali e dall’India, che ha rivolto un forte appello al rispetto della democrazia.
Alle prime avvisaglie di quel che stava per succedere, San Suu Kyi ha invitato la popolazione a protestare e a non farsi sottomettere un’altra volta dai militari. Le prossime ore saranno decisive per il futuro del Paese.
Federico Kapnist