La serie cult sugli 883 sta spopolando e ha avuto grande successo. Eppure al regista Sidney Sibilia è sfuggito un piccolo particolare…
Se c’è una cosa che Sidney Sibilia sa fare, è portare sullo schermo storie che riescono a toccare corde profonde, pur mantenendo una leggerezza che conquista. È esattamente quello che è successo con ‘Hanno ucciso l’Uomo Ragno’, la sua serie dedicata agli 883, un omaggio agli anni ’90 e alla musica che ha segnato una generazione.
La serie, acclamata sia dal pubblico che dalla critica, ha riportato alla ribalta non solo le canzoni di Max Pezzali e Mauro Repetto, ma anche un’intera epoca fatta di walkman, felpe oversize e discoteche al ritmo di “Nord sud ovest est”.
Tra premi vinti e un successo di ascolti inaspettato, l’opera di Sibilia è diventata un piccolo fenomeno culturale. Non si tratta solo di nostalgia per i “vecchi tempi”, ma di un racconto fresco e coinvolgente, capace di far innamorare anche chi gli anni ’90 li ha vissuti solo attraverso i racconti. La serie ha saputo trasmettere quel senso di leggerezza, di sogni da bar e di amicizie che non passano mai di moda. Insomma, un lavoro impeccabile… o quasi.
Nonostante l’episodio che stiamo per raccontarvi, la serie sugli 883 rimane un gioiello che ha saputo riportare in vita un decennio pieno di sogni e contraddizioni. Gli anni ’90 erano quelli del Festivalbar, delle estati infinite e delle canzoni che diventavano colonne sonore della nostra vita. E gli 883, con i loro testi semplici ma universali, ne sono stati i cantori perfetti.
Grazie alla serie su Max Pezzali e Mauro Repetto, molte persone hanno rispolverato i vecchi CD o cercato le playlist online, scoprendo (o riscoprendo) il potere delle canzoni come “Hanno ucciso l’uomo ragno” o “Sei un mito”. E questa operazione nostalgia ha funzionato non solo per chi c’era, ma anche per i più giovani, curiosi di scoprire com’era quel mondo senza smartphone ma con il Game Boy.
Per quanto curata nei dettagli, anche nelle produzioni più ambiziose e ben riuscite può scappare qualche piccolo errore, che in gergo viene chiamato “blooper”. Il blooper, in sostanza, è quella discrepanza rispetto al racconto o quell’errore di regia che non incide minimamente sulla narrazione né sulla qualità del prodotto ma diventa un curioso “must” per gli appassionati, che fanno a gara per trovarli. Ebbene, noi ne abbiamo trovato uno!
Accade in una scena della serie che si svolge subito dopo l’uscita del primo singolo, “Non me la menare”, quando i protagonisti, Max e Mauro, acquistano delle patatine al supermercato. Fin qui tutto bene, se non fosse che il packaging delle patatine San Carlo mostrato è quello attuale, decisamente diverso rispetto a quello degli anni ’90.
Ma perché siamo così attratti da questi piccoli errori? Forse perché ci ricordano che, dietro a produzioni mastodontiche, ci sono sempre esseri umani. E in fondo, notare un dettaglio fuori posto ci dà quella soddisfazione di sentirci un po’ investigatori.
Nel caso di questa serie, la gaffe non toglie nulla alla qualità del prodotto, anzi, è diventata quasi un elemento di simpatia. La cura con cui sono stati ricreati gli anni ’90 – dai vestiti ai poster, fino alla colonna sonora – è così evidente che è facile perdonare un pacchetto di patatine fuori tempo.
Alla fine, cosa resta di questa piccola gaffe? Un sorriso. Perché, in un’opera che rasenta la perfezione, un dettaglio fuori posto è quasi rassicurante. È il promemoria che, per quanto ci si sforzi, un po’ di imperfezione è inevitabile. E tu, te ne eri accorto? Oppure anche tu hai vissuto il sogno degli anni ’90 senza guardare troppo alle patatine? Una cosa è certa: grazie a questa serie, il mito degli 883 continua a vivere… con o senza errori!
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