I murales della discordia: nel mirino finiscono due dei luoghi scelti dalla Biennale di Street art, il polo Nuovo di Psicologia di via Venezia e l’acquedotto Aps di via Bottazzo vicino a Prato della Valle.
Attraverso una nota senza mezzi termini, l’ordine degli architetti di Padova ha preso posizione su questi murales realizzati nella città del Santo durante la Biennale di Street Art Super Walls, terminata domenica scorsa con 39 artisti internazionali e 35 dipinti apparsi su vari edifici della città.
Stando a quanto riportato, gli architetti non contestano i disegni, quanto la scelta dei luoghi in cui sono stati realizzati, in particolare quello del polo di Psicologia costruito da Studio Valle e quello all’acquedotto Aps. Il primo deturperebbe infatti un edificio di pregio architettonico, il secondo la vista sulla piazza più grande d’Europa.
“Bisogna avviare un processo collettivo per la realizzazione di un piano unitario per gli spazi pubblici della città e delle sue periferie, che indichi strumenti e materiali da utilizzare, con esempi di best practices. Bisogna evitare errori di valutazione evidenti come quelli compiuti a seguito della manifestazione ‘Biennale Art Superwalls’ che a fianco di alcuni interventi riusciti, ha visto alcuni esiti a dir poco infelici”, scrivono.
Gli architetti spiegano che: “Il riferimento è soprattutto al grande murale floreale realizzato sulla parete del blocco centrale del Nuovo Polo di Psicologia di via Venezia, complesso di edifici concepito dall’architetto Gino Valle e dallo studio Valle come insieme unitario e coerente, intervento architettonico di livello internazionale. L’intervento di Street art si inserisce a spada tratta e con violenza in uno dei pochi complessi di architettura contemporanea di valore della città, negando qualsiasi dialogo con la preesistenza architettonica e rovinandone l’immagine unitaria. Altro esempio di intervento alquanto discutibile è quello operato sulla torre piezometrica di Aps di via Bottazzo, che è ben visibile dall’interno di Prato della Valle a sinistra della facciata monumentale della Basilica di Santa Giustina con il risultato di aver reso ancora più evidente un elemento di disturbo pre esistente”.
I murales in questi casi non sarebbero stati quindi usati come “mezzo di rigenerazione urbana”, “ma l’utilizzo di questo strumento con leggerezza non mediata, apre la discussione a un tema ancora più profondo del semplice inutile deturpamento di un’area di assoluta qualità architettonica contemporanea, quale la mancanza di un piano unitario, partecipato e coerente di azioni sul bene comune”.