La sistematica situazione di inferiorità e discriminazione, in cui versa la popolazione palestinese nei confronti degli ebrei, è solo una delle cause che hanno provocato una nuova recrudescenza dell’eterna lotta in Palestina.
Certo, come sempre c’è stato un casus belli; una miccia che ha fatto deflagrare la bomba. In questo caso, un nuovo, odioso sfratto (poi annullato) di abitanti palestinesi ordinato a Gerusalemme Est da un tribunale israeliano – che pure non avrebbe alcuna giurisdizione su quella parte della Città Santa. Ma la politica decennale di Israele, come è noto, si fonda proprio sul superare il diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni Unite; occupando territori, abbattendo case e insediando nuovi coloni, spesso fanatici religiosi.
L’appoggio indiscriminato degli Stati Uniti legittima ogni malefatta; mentre il resto del mondo, dalla Russia alla Cina, passando per Unione Europea e stati arabi, non fa nulla per porvi un freno. L’ultima e più grave azione da parte americana, in questa terra martoriata, è stata compiuta da Trump; legittimando l’occupazione di Gerusalemme Est e dichiarando l’intera Città capitale indivisa dello stato di Israele. Spostandovi, ad ulteriore scherno, la propria ambasciata, prima a Tel-Aviv.
Turchia e Iran, gli unici a schierarsi apertamente contro Israele, hanno del resto più di un motivo per dichiararsi vicini ai Palestinesi. Ankara rivaleggia con Israele nel risiko del Mediterraneo centro-orientale e vede con sospetto i suoi crescenti rapporti militari ed economici con la Grecia. L’Iran, dal canto suo, nemica atavica di Israele, ha al suo interno un’importante componente – quella oltranzista dei pasdaran – che senza “l’entità sionista” da fronteggiare, perderebbe quasi il suo senso di esistere.
Anche la destra israeliana dello spregiudicato Netanyahu, ancora in sella dopo oltre dieci anni di governo, senza lo spauracchio di chi “vuole distruggere Israele” – vero chissà fino a che punto – difficilmente sarebbe ancora dov’è. E i palestinesi? Con le elezioni nuovamente rinviate e il sospetto che il moderato Abu Mazen sia troppo debole per strappare qualche seria concessione dalla controparte, Hamas – legata ai Fratelli Musulmani cari ad Erdogan e allo stesso tempo ai munifici finanziamenti iraniani – si erge ancora una volta come unica risposta ai soprusi israeliani. Il problema è che Hamas conosce solo il linguaggio della violenza; e quando si è violenti, gli israeliani sanno esserlo molto di più e in modo assai più efficace dei palestinesi. Come si sta nuovamente vedendo oggi.
Gli stati arabi, “fratelli” solo a parole dei palestinesi e ben più affiatati con americani ed israeliani, nicchiano. A farne le spese, i poveri derelitti del più grande lager a cielo aperto del mondo, la Striscia di Gaza. E quegli abitanti, arabi ed ebrei, delle città in cui la convivenza pacifica è una dura lotta quotidiana.
Federico Kapnist