Tutto si potrà dire di Vladimir Putin, tranne che abbia il potere di influenzare le decisioni di Amnesty International, l’organizzazione per la tutela dei diritti umani più famosa al mondo.
La stessa Amnesty che, in passato, più volte aveva fustigato la Russia ed il suo attuale presidente. E che oggi, con sorpresa di mezzo mondo, ha deciso di rimuovere lo status di “prigioniero di coscienza” per Alexey Navalny.
Il motivo? La sua appartenenza, in passato, alla galassia nazionalista e xenofoba russa. Condita da diverse uscite discriminatorie con cui il celebre blogger aveva apostrofato gli immigrati; prendendosela, in particolar modo, con la nutrita comunità proveniente dall’Asia centrale ex-sovietica.
Per Amnesty International, Navalny continua ad essere un prigioniero detenuto ingiustamente nelle carceri russe; ma che a causa del suo passato, non gode più di quel trattamento di favori inizialmente riservatogli.
I seguaci del blogger russo, vedono la mano di Putin dietro alla decisione di Amnesty. Ma quel che più importa, al di là della diatriba su chi abbia ragione o meno nella questione del “più grande oppositore di Putin”, sono i risvolti geopolitici che iniziano a produrre effetti sul gasdotto North-Stream 2.
È infatti notizia di oggi come ben 18 aziende europee abbiano deciso di ritirarsi, su pressione americana, dagli ultimi lavori per il completamento dell’opera. La minaccia di sanzioni da parte di Washington nei confronti di chiunque “tocchi” il gasdotto incriminato, è bastata per spaventare importanti realtà continentali.
La reazione di Mosca non si è fatta attendere, giudicando la decisione un attentato ai principi del libero scambio e della concorrenza. Ma è più che sicuro che ora che l’opera si avvicina alla fine, ulteriori mosse da parte americana saranno presto rivelate.
Federico Kapnist