La capitale della piccola repubblica centrasiatica del Kyrgyzistan, Byshkek, è in fiamme a causa delle violente rivolte scoppiate a seguito delle elezioni parlamentari, tenutesi domenica 4 ottobre.
Dopo aver proclamato i risultati, migliaia di persone si sono riversate nelle strade denunciando brogli e chiedendo, quindi, l’annullamento delle consultazioni. Le proteste sono arrivate a tal punto, e in così poco tempo, da portare i manifestanti ad occupare i palazzi del potere in appena due giorni. Spingendo diversi uomini politici a dimettersi e a lasciare il potere nelle mani dei capi della protesta; i quali hanno subito nominato, ad interim, nuovi rappresentanti del potere.
Degno di nota è stato il fatto che tra le prime mosse dei manifestanti vi sia stata l’immediata scarcerazione del precedente presidente del Kyrgyzistan, Atambayev (sulla carta filo-russo), e di altri uomini politici di primissimo piano, anch’essi in carcere. Tutti oggetto, negli scorsi anni, di una vera e propria epurazione; dovuta all’endemico problema della corruzione e che aveva portato un ricambio nella leadership del Paese.
Il Kyrgyzistan è uno stato remoto, secondo i nostri canoni occidentali. Ma riveste, in realtà e come, del resto, tutte le altre repubbliche centrasiatiche, una grandissima valenza geopolitica. Si trova infatti in una zona ricca di risorse dove la Cina e soprattutto la Russia – che considerano l’area ancora come una propaggine del loro ex spazio imperiale – sono più che interessate a mantenere il controllo sui rispettivi governi.
E dove, naturalmente, sono in gioco anche numerosi interessi americani; i quali occupano ancora il vicino, e disastrato, Afghanistan e sono presenti con diverse basi NATO in alcuni stati limitrofi.
Federico Kapnist