La missiva è dell’agosto scorso; e sta scatenando un putiferio politico a Berlino. Facendo riaffiorare, come ciclicamente accade, i dubbi sull’effettiva indipendenza della Germania e dell’Unione Europea; e su come e quanto gli Stati Uniti esercitino ancora una sorta di “protettorato” sull’Europa liberata nel 1945, condizionandone importanti scelte economiche.
Firmata dall’allora vice-cancelliere e attuale ministro delle Finanze, Olaf Scholz, rivela fondamentalmente il ricatto americano e la sua accettazione da parte tedesca. La Germania, in cambio della fine della guerra sul gasdotto North Stream 2, e quindi della possibilità di raddoppiare l’import di gas russo, s’impegna a costruire due impianti rigassificatori per importare e stoccare il gas americano ottenuto tramite il fracking.
Uno spudorato, seppur a tratti comprensibile, atto di realpolitik da parte di Berlino; che non vuole rinunciare al mastodontico progetto con la Russia ma che, allo stesso tempo, non può permettersi di chiudere la porta in faccia a Washington. Il gas di scisto ottenuto tramite fracking, è più caro ed impattante per l’ambiente; ma serve ad alimentare i profitti delle compagnie energetiche americane. E questo basta a giustificare la veemenza delle amministrazioni Trump, prima, e Biden, poi, sulla questione. Questione che però, allo stesso tempo, sta infiammando l’influente galassia ambientalista tedesca; insieme a quell’ampia fetta della politica rimasta all’oscuro.
Si potrebbe questionare sul perché una lettera tanto delicata sia finita, in qualche modo, in pasto alla stampa; e se questo non sia avvenuto, magari, volontariamente. Nel mentre, tra Navalny e Bielorussia, e tra Ucraina e vaccini, il braccio di ferro sul gasdotto, continua.
Federico Kapnist