A lanciare la bomba è l’Espresso. Il Mose sarebbe “già marcio”. Materiali scadenti, ruggine e buchi nelle tubature erano già stati denunciati dal settimanale nel 2016 e dopo una spesa di 6 miliardi, 35 anni di lavori e appena due di attività, esplode di nuovo la polemica.
Il Mose, la più grande opera pubblica italiana (tra l’altro non ancora conclusa) che dovrebbe difendere Venezia e inaugurata in pompa magna nel luglio scorso, sarebbe a rischio corrosione. A 15 metri sotto il livello del mare a farla da padroni sono ossidazione, ruggine e infiltrazioni d’acqua salata che minacciano il punto più delicato, le cerniere. Ce ne sono 156, due per ogni paratoia nelle tre bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia che mettono in comunicazione la laguna con il mare. Sono ancorate ai cassoni in calcestruzzo sul fondo della laguna e comandano il movimento delle dighe.
Il problema della corrosione è conosciuto da tempo, ma non è stato risolto nemmeno dopo la nomina del commissario straordinario, l’ex dirigente del Demanio, Elisabetta Spitz, nel novembre del 2019. E così i due ingegneri metallurgici esperti in corrosione, consulenti del ministero delle Infrastrutture, si sono dimessi dal loro incarico. Susanna Ramundo, ingegnere corrosionista, consulente dell’Unione europea, e Gian Mario Paolucci, professore padovano tra i massimi esperti italiani in materia hanno scritto una durissima lettera di denuncia con la quale spiegano le loro ragioni: “La corrosione avanza e non si fa nulla. Ce ne andiamo”.
“Mi sono dimessa perché ho perso”, dice adesso Ramundo all’Espresso. “Non sono riuscita a tradurre banali concetti tecnici in azioni per chi poteva e doveva decidere. Nel 2016 abbiamo evidenziato le criticità dell’opera e proposto le soluzioni correttive. È tutto depositato, chiedete l’accesso agli atti del Cta, il Comitato tecnico del Provveditorato alle Opere pubbliche che decide il finanziamento dei progetti. Leggete bene. Ci sono parole e silenzi. I silenzi vanno letti più delle parole”.

“Gli errori progettuali sono tanti, ad esempio la selezione dei materiali del sistema di tensionamento, quello che sorregge le paratoie e vive sott’acqua, fa tremare i polsi”, dice ancora al settimanale Ramundo. Non acciaio Superduplex, resistente e più costoso, ma l’acciaio al carbonio, che si ossida all’aria. E cecondo l’esperta: “Tutto il sistema andrebbe rivisto integralmente. È previsto nel bando di gara europeo da 34 milioni di euro, fermo da un anno e mezzo perché non si permette alle aziende di effettuare i sopralluoghi”.
La situazione è piuttosto grave. “Hanno scelto un materiale non idoneo, ad essere buoni. E non si sono condizionati gli ambienti delle gallerie per anni. Con i risultati che vediamo oggi: la soluzione salina ha agito indisturbata su tutti i componenti e sulle strutture delle gallerie. È lo stesso meccanismo che mette a rischio anche i mosaici della Basilica di San Marco”.
“Sono molto preoccupata – dice l’ingegnere -. Abbiamo stimato una vita residua per gli steli della bocca di Treporti di soli 30 anni, contro i 100 garantiti dal progetto. Avevamo raccomandato ispezioni subacquee almeno un paio di volte l’anno” e invece niente. E cosa più importante “i tempi della corrosione non sono quelli della burocrazia”.
“La corrosione e il degrado hanno portato al crollo del ponte Morandi e di molte altre infrastrutture in Italia. È un problema da affrontare seriamente e alla svelta. Occorre assumere giovani ingegneri specializzati in corrosione. Il Mose non si salva con gli avvocati, con gli esperti e i consulenti che poi se ne vanno, ma con una struttura di controllo efficace e specializzata”, ricorda Ramundo.
Ma possibile che nessuno abbia pensato all’aspetto legato alla corrosione? “Ho documenti firmati da ingegneri del Politecnico di Milano che ci hanno contestato, negando che quel fenomeno potesse accadere. Noi siamo andati avanti lo stesso. Ma adesso tutto è tornato indietro, come in un film riavvolto. Per questo ci siamo dimessi”.
Servirebbe tempo per sistemare anche le cerniere, ma non ce n’è. Secondo il cronoprogramma ribadito dal commissario del Mose e dal ministero, i lavori dovrebbero concludersi il 31 dicembre. Ramundo sorride: “Davvero? E di quale anno? Con che affidabilità? Quale assicurazione lo prenderà in carico? Ho solo domande su questo punto, non vedo certezze. E non so più che dire. Più che dimettermi, che dovevo fare?”.
L’opera che dovrebbe proteggere Venezia fa più paura dell’acqua alta.