Correva il 21 dicembre del 2013, sette anni fa, quando ribelli legati a Jabat al-Nusra (costola siriana di al-Qaeda), fecero saltare in aria il più grande ospedale di Aleppo. Non prima di aver ucciso, a sangue freddo, i soldati siriani che per mesi l’avevano difeso e che si erano, alla fine, dovuti arrendere per mancanza di cibo e munizioni.
Era l’inizio di una guerra atroce che avrebbe sconvolto la Siria per molti anni. Una guerra scatenata dai fondamentalisti islamici, prima siriani e poi di tutto il mondo, contro le forze laiche e socialiste di Assad; e che ebbe come principali destinatari delle violenze le millenarie comunità cristiane presenti nel Paese mediorientale.
Commuove, in questi giorni, vedere come dopo anni di violenze e soprusi, la Siria sia tornata a festeggiare il Natale. Le foto che giungono da Damasco, da Aleppo, da Homs, potrebbero provenire da qualunque paese dell’Europa mediterranea. E invece si è in Siria. Paese a grande maggioranza musulmana che considera il Natale cristiano come festa nazionale; e che, soprattutto, considera i cristiani come colonna portante della propria società.
Il multiculturalismo e il laicismo garantiti dal governo dell’esecrato Assad, rappresentano del resto l’odierno, ultimo tassello della storia millenaria di un Paese dove la convivenza tra religioni e popoli diversi è stata, alla fine, più forte dell’odio di religione.
Un percorso a tratti difficile, tragico, sofferto. E che l’Occidente a maggioranza cristiana troppo spesso dimentica. Ancora oggi. Anche a Natale. Voltando le spalle a coloro che sono, a tutti gli effetti, gli avi del nostro mondo cristiano a cui amiamo rifarci quando realizziamo i nostri presepi e ricordiamo la vita di Gesù Cristo. Piegati, per una perversa logica di interessi economici e geopolitici, da insopportabili sanzioni applicate (e rinnovate) per colpire chi ha avuto l’unica colpa di fermare l’avanzare dello stato islamico e di tutti i mercanti di morte che agivano nel nome di Allah.
La culla del cristianesimo – una religione, bene ricordarlo talvolta, di origine asiatica, nata e prosperata nel Medio Oriente – paga ancora oggi lo scotto di 15 anni di guerre fomentate dagli Stati Uniti e i suoi alleati che ne hanno stuprato l’anima e distrutto i luoghi più sacri. La Siria, così come l’Iraq prima di essa, ha visto ridurre in modo drammatico le comunità cristiane negli ultimi anni; trovatesi, durante gli ultimi eventi bellici, attaccate da fondamentalisti musulmani ed ignorate dai cristiani d’oggigiorno.
Eppure, se il cristianesimo nasce come religione di sofferenza e speranza allo stesso tempo, un grande insegnamento per noi tutti arriva proprio da queste comunità antichissime; che serbano, evidentemente, ancora l’autentico, messaggio originario del Cristo.
Millenni di vita dura, e spesso violenta, come quella di gran parte dei paesi mediorientali, ha fortificato ancora di più lo spirito comunitario dei cristiani di Siria. Che oggi toccano il cielo con un dito al pensiero di poter festeggiare il Santo Natale in pace. Stando, oggi come allora Nostro Signore, dalla parte sbagliata della storia.
Federico Kapnist