“La verità non è un crimine”, recita un cartello dei manifestanti che si sono riversati nelle strade di Londra, per festeggiare una sentenza storica. Julian Assange non sarà estradato negli Stati Uniti; lo ha deciso questa mattina il giudice inglese, Vanessa Baraitser, ribaltando così il verdetto che ci si attendeva.
Secondo la sentenza, le condizioni del sistema carcerario americano a cui verrebbe sottoposto il fondatore di Wikileaks, “potrebbero esacerbare il suo già precario stato di salute mentale e, potenzialmente, mettere in pericolo la sua stessa vita. Trovandosi in condizione di totale isolamento, le procedure [delle autorità statunitensi, ndr] all’interno delle carceri potrebbero portarlo a togliersi la vita”.
Uno schiaffo è però arrivato ugualmente ad Assange. La sua difesa aveva definito “prettamente politica” la decisione di estradarlo negli Stati Uniti. Il giudice, per contro, non ha seguito questa strada; ritenendo che la condotta di Assange, se provata, “ammonterebbe a reati non protetti dalla libertà di stampa”. In altri termini, la divulgazione di informazioni sensibili – e talvolta non veritiere – avvenuta nel corso degli anni su Wikileaks, non è stata vista in maniera positiva neanche a Londra; che pur della libertà di stampa è, da sempre, l’alfiere a livello internazionale. Per citare le parole del giudice, “libertà di stampa non significa avere il diritto di pubblicare qualsiasi cosa si voglia”.
Washington ha già comunicato, per bocca del suo ambasciatore presso il Regno Unito, che ricorrerà contro la sentenza. Assange, se estradato negli Stati Uniti, rischia una pena fino a 175 anni di carcere.
Federico Kapnist