La figura del mercante d’arte ha origini remote e si è evoluta nel tempo. Originariamente l’artista era a servizio di un committente, ma la svolta avviene quando comincia a produrre opere d’arte senza una richiesta allo scopo di soddisfare il proprio estro creativo. Da questo momento nasce la figura “ponte” del mercante tra i compratori e gli artisti.
Un esempio della libera produzione artistica nel Seicento è rappresentato da Caravaggio, le cui opere venivano comprate da grandi collezionisti. Nel Settecento c’è un maggior incremento di questo fenomeno incoraggiato dal commercio tra le diverse corti d’Europa. In questo contesto, i vedutisti veneziani come Guardi e Canaletto godono di una protezione internazionale. L’apice del mercato privato arriva con la Rivoluzione Francese quando l’artista nel suo atelier, lavora quasi per sé stesso, senza alcuna garanzia di smercio.
Nell’Ottocento, si conclude il processo dell’affrancamento dell’artista dai suoi committenti, per molti secoli, essenzialmente le corti e la Chiesa, iniziato con il Rinascimento. Nel periodo delle avanguardie si afferma a tutti gli effetti il ruolo del mercante come nuovo tipo di intermediario fra artista e compratore. Il mercante è una persona che riesce a interpretare il nuovo e sa distinguere con sicurezza ciò che vale rispetto a quello che non conta, svolgendo un ruolo importante per cui sia il collezionista che l’artista non potranno più fare a meno del suo servizio.
Nel secondo dopoguerra il polo d’attrazione dell’arte si sposta dall’Europa all’America ed è in questo periodo di grande fermento artistico si colloca la figura del mercante Leo Castelli. Castelli ha costruito un sistema planetario per la diffusione di opere d’arte contemporanea, un metodo a cui ancora oggi molti galleristi fanno riferimento.
Nel 1957 Castelli apre la sua galleria a New York, alla 4 East 77th Street nell’Upper East Side. La sua galleria si rivela rivoluzionaria per quanto riguarda la scelta degli artisti rappresentati e esposti. Castelli è noto per essere stato il primo ad abbandonare la linea dell’espressionismo astratto e per aver puntato ad una nuova generazione di artisti. Egli introduce il moderno concetto di rappresentazione di un artista da parte di una galleria ed è il primo ad instaurare rapporti di collaborazione con venditori europei ed americani con uno sguardo lungimirante focalizzato sui collezionisti interessati agli artisti americani del dopoguerra.
Uomo generoso, si è dedicato a formare una generazione di nuovi mercanti d’arte, trasmettendo loro la sua visione. Fino a quel momento, le gallerie procedevano alla vendita delle opere degli artisti dividendo con loro i profitti in base a percentuali, ma il loro legame non presupponeva un rapporto esclusivo di fedeltà. Il “modello Leo Castelli” invece si basa sul rapporto tra artista e gallerista, un legame che li unisce non solo al livello professionale, ma anche intimamente, quasi una amicizia in cui la fedeltà gioca un ruolo importante. Castelli era solito dare all’artista uno stipendio mensile a prescindere dal successo che le sue opere avessero nel mercato.
In questo modello, la galleria provvede alle necessità dell’artista fornendogli il denaro sufficiente per l’atelier e per tutto l’occorrente per il suo lavoro artistico monitorando, nel contempo, il suo mercato per accertarsi che la simmetria tra opera-valore sia coerente. Non solo, cura anche il brand dell’artista e i rapporti con il pubblico, inclusi quelli con la stampa.
Il modello Castelli, seguito ancora oggi, si fonda sui principi della fiducia e lealtà necessari affinché artista e mercante, possano costruire un solido rapporto a lungo termine.
Clotilde Maria Iovino