È iniziato il settembre “nero” anzi nerissimo dell’economia del Veneto. Se possiamo usare un paragone è probabile che i prossimi mesi siano peggiori di quelli dell’autunno 2008 della Grande depressione partita con il fallimento della banca americana Lehman Brother’s. Un crack che ebbe conseguenze pesantissime sulla economia mondiale, italiana in particolare, con il crollo del modello Nord-est invidiatoci in tutto il mondo. Senza dimenticare i 156 imprenditori e lavoratori morti suicidi per la disperazione della crisi economica. In quegli anni il saldo negativo di assunzioni e cessazioni arrivò a 45 mila 800 unità, oggi nel Veneto siamo arrivati ad una perdita reale di 40 mila posti occupazionali, con l’aggravio che i più penalizzati sono i giovani e i lavoratori a tempo determinato. Una conferma che viene anche dall’assessore regionale al lavoro Elena Donazzan, che sottolinea che “il Veneto sta rispondendo con coraggio e voglia di reagire, ma si scontra con una riduzione dei contratti a tempo determinato e la conseguente penalizzazione del mondo giovanile”. Numeri nerissimi che nascondono però dati ancora peggiori, la dinamica occupazionale è infatti falsata da due particolari: il primo è il blocco della cassa integrazione, il secondo è il divieto di licenziamento imposto dai decreti governativi degli ultimi mesi e ancora attuale. l’ultimo rapporto dell’autorevole “La bussola” che studia con grande attenzione come Osservatorio il mercato del lavoro dell’agenzia regionale conferma quanto scritto sopra, che parte dell’analisi del periodo fra aprile e giugno. In questo arco di tempo, la differenza fra soggetti che hanno firmato un contratto (a tempo indeterminato, a termine o di apprendistato) e quelli che hanno cessato un rapporto di lavoro è in negativo di 6.700 unità, somma generata dalla diminuzione delle assunzioni (-49% rispetto allo stesso trimestre del 2019). I licenziamenti sono invece diminuiti del 36,5% ma, come detto, in buona parte per effetto del congelamento forzato. A mancare, sottolineano i responsabili della ricerca, sono in prima battuta i nuovi contratti stagionali, quindi quelli del comparto turistico, “a causa del mancato avvio delle attività legate alla Pasqua e poi del parziale e tardivo avvio di quelle estive”. Per tornare al confronto con la crisi di 10 anni fa c’è da sottolineare che allora, nonostante le negatività, tutto rimase positivo per più di 10 mila unità. Oggi i danni occupazionali subiti nella fase di lockdown sono difficilmente recuperabili nel breve periodo. Se vogliamo darci un po’ di ottimismo, non ci resta che guardare l’indice Pmi del settore manifatturiero che ci pone ancora una volta ad essere i primi in Europa e rimane un settore in crescita.
Achille Ottaviani