“Esistono storie che non esistono” diceva, in suo riuscitissimo sketch su “Mai dire gol”, il comico Maccio Capatonda.
Purtroppo, la cosa sembra accadere anche nella realtà. Solo di fronte al recente, tragico epilogo di Ebru Timtik, l’avvocatessa e attivista dei diritti umani lasciatasi morire di fame in un carcere turco, l’attenzione si è rivolta alla Turchia ed al suo Presidente. Un attimo solamente; il tempo di comunicare il decesso per poi far sprofondare nuovamente l’argomento nel dimenticatoio mediatico.
Erdogan, scomodissimo alleato di ferro della NATO e guardiano della rotta balcanica dei migranti con cui ricatta l’Unione Europea, sembra essere in possesso di una dispensa che lo esonera da qualunque responsabilità e conseguenza per il trattamento che riserva ai suoi oppositori.
Alla luce del sole e senza scomodarsi troppo nel nascondere quello che accade nelle sue carceri, il Sultano tiene imprigionati – secondo Human Rights Watch – circa 29.000 dissidenti politici, oltre a 8.500 militanti curdi.
Una barbarie, secondo i canoni del mondo di cui facciamo parte e dei valori che ci rappresentano; e che non ha eguali nel mondo civilizzato. Ma la logica dei due pesi e delle due misure non è certo una novità. Come si enfatizzano le esecuzioni delle condanne a morte in Iran, nemico degli Stati Uniti, e si tacciono quelle dell’Arabia Saudita, suo alleato di ferro, anche per Erdogan e la Turchia sembra valere la stessa cosa.
Di sanzioni verso Ankara, colpevole di imprigionare esseri umani per reati legati alla libertà di pensiero ed espressione, non se ne parla nemmeno.