In una guerra tremenda e logorante, che continua ininterrotta da ormai cinque anni, il prezzo che stanno pagando i civili yemeniti è sempre più alto.
Le organizzazioni umanitarie impegnate nello Stato a sud-ovest della penisola arabica, dichiarano come dei circa 100.000 caduti, almeno 3.500 siano bambini. Altrettanti, circa, sono quelli rimasti feriti, più o meno gravemente. Metà degli ospedali sono inagibili e la popolazione è allo stremo; fiaccata dal blocco navale attuato dall’Arabia Saudita (con l’aiuto della Gran Bretagna) e dai continui bombardamenti dell’ampia coalizione che si oppone al movimento Houthi ed alla rivolta da essi scatenata ancora nel 2015.
Gli Houthi sono un movimento d’ispirazione islamica nato in Yemen negli anni ’90 del secolo scorso e prevalentemente sciita (per quanto al suo interno, oggi, si contino anche molti sunniti). Nel 2015, sull’onda lunga delle primavere arabe, diede vita ad una forte ribellione contro il governo del presidente Hadi, legato all’Arabia Saudita e accusato di corruzione ed incapacità nel garantire il benessere della popolazione.
Da allora, buona parte dello Yemen è passato sotto il controllo degli Houthi; e, in risposta, una vasta coalizione internazionale a guida saudita vi si è schierata contro. Emirati Arabi, Israele, Egitto, Bahrein, Stati Uniti, Gran Bretagna e altri ancora; fino ad includere, per certi versi, anche movimenti terroristici quali al-Qaeda e lo stato islamico. Sempre collegati, in qualche modo, alla monarchia saudita.
I ribelli Houthi, sostenuti dall’Iran, hanno resistito fino ad ora nonostante la sproporzione delle forze in campo; arrivando anche a colpire obiettivi sensibili dentro l’Arabia Saudita, tra cui alcuni pozzi petroliferi nel Sud del Paese. Per tutta risposta, subiscono ininterrottamente bombardamenti a tappeto da oramai cinque anni. Una situazione di stallo dalla quale non sembra esserci, al momento, via d’uscita.
Federico Kapnist