“Sono stanco e confuso, non so neppure con certezza quel che sta accadendo fuori di qui”, sono le parole di Marco Zennaro, l’imprenditore veneziano di 46 anni che dal primo aprile è rinchiuso in una cella del commissariato di Khartum, la capitale del Sudan. Ha già trascorso oltre 50 giorni giorni in condizioni disumane. “Dormo sul pavimento assieme ad altri detenuti in attesa di una decisione dell’autorità locale che sembra non arrivare mai. E tutto a causa di una persona con la quale non ho mai avuto alcun rapporto commerciale“.
L’imprenditore è accusato di frode e, stando alle ricostruzioni che giungono dal Paese africano, dietro al suo arresto ci sarebbe il miliziano Abdallah Ahamed, considerato vicino al clan del feroce generale Mohamed Hamdan Dagalo, protagonista del colpo di Sato del 2009 e accusato del massacro e degli stupri di Adwa del novembre 2004 nel Darfur meridionale.
La vicenda, come racconta la famiglia, gira intorno ad un affare concluso nei mesi scorsi dall’azienda dell’imprenditore, che è specializzata nella produzione di materiale elettrico. Da lì sarebbe uscita una grossa partita di trasformatori acquistati da un distributore sudanese, Ayman Gallabi, e destinati all’azienda elettrica del Paese. Il cliente avrebbe fatto testare il prodotto dai tecnici dei laboratori di un’azienda locale, concorrente e, secondo loro, i trasformatori non avrebbero rispettato gli standard necessari.
Per sbloccare la situazione, a metà marzo Zennaro è volato in Sudan e lì è stato arrestato una prima volta dalla polizia, su richiesta di Gallabi che l’aveva denunciato per frode. Trasferito in un albergo, e piantonato dalle forze dell’ordine sudanesi, il veneziano ne è uscito il primo aprile dopo aver convinto l’uomo a ritirare le accuse in cambio di un versamento di 400mila euro e un accordo commerciale.
Tutto sembrava ‘risolto’, ma poi l’imprenditore è arrivato all’aeroporto ed è stato nuovamente arrestato. In molti pensano che sia tutto un piano ben studiato per sottrargli altri soldi, infatti si parla di una nuova richiesta di 700mila euro. A rendere ancora più inquietante tutto il quadro, che già è poco chiaro, dal Sudan è giunta la notizia della morte di Ayman Gallabi, l’uomo sarebbe stato ritrovato morto venerdì pomeriggio, “annegato nel Nilo Azzurro”, secondo altri ucciso invece per una vendetta dei miliziani.
Purtroppo in un Paese travagliato come il Sudan, dove a farla da padrone sono corruzione e violenza, è difficile avere conferme ufficiali. Nelle prossime ore è in programma l’udienza davanti alle autorità di Khartum per decidere le sorti del veneziano. Ma è già slittata diverse volte e in pochi credono che davvero si possa arrivare a una decisione senza che dall’Italia giungano delle pressioni politiche.
“È un ricatto insopportabile, bisogna riportarlo a casa”, dice il parlamentare veneziano Nicola Pellicani, che da settimane sta seguendo il caso assieme a Piero Fassino, che presiede la commissione Affari esteri. Della questione è stato informato anche il ministro Luigi Di Maio, che avrebbe già avuto un primo colloquio con la sua omologa sudanese.