Si complica la situazione in Birmania. Dopo alcune settimane di relativa calma, in cui l’esercito golpista sembrava in qualche modo tollerare le numerose proteste della popolazione, le forze armate del generale Min Aung Hlaing sono ora passate al contrattacco.
Fonti delle Nazioni Unite riferiscono come solo nella giornata di ieri vi siano stati 18 morti tra i manifestanti che sfilavano, pacificamente, nell’ex capitale Yangon. Il tragico bilancio si somma con quello dello scorso fine settimana, in cui altre due persone erano rimaste uccise dai soldati.
La popolazione birmana sta protestando da diverse settimane nelle città di tutto il Paese seguendo l’appello dell’ex leader, Aung San Suu Kyi, incarcerata durante il golpe del 1 febbraio scorso. I militari, da sempre molto potenti nell’ex colonia britannica, dove hanno comandato per decenni, hanno organizzato nell’occasione un colpo di stato con la giustificazione di presunti brogli elettorali nelle elezioni dello scorso novembre. Da allora, hanno occupato tutti i centri del potere instaurando, di fatto, una nuova dittatura militare che si è accanita in particolar modo contro San Suu Kyi. Il premio Nobel per la Pace del 1991, è infatti il simbolo della riscossa del popolo birmano contro lo strapotere dell’esercito durato per quasi 50 anni, in seguito all’ottenimento dell’indipendenza dal Regno Unito.
Cresce intanto, insieme alla gravità dei risvolti umanitari, la pressione internazionale sui militari. Stati Uniti ed Occidente stanno premendo sulle Nazioni Unite per interrompere immediatamente le violenze e ripristinare la democrazia; la Cina, invece, ha lasciato intendere di non essere dispiaciuta dalla nuova situazione venutasi a creare in Birmania. Invitando tutti gli attori esterni ad astenersi dall’interferire negli affari interni di uno stato sovrano.
Federico Kapnist