Una delle ultime mosse del presidente Trump, prima di consegnare le chiavi della Casa Bianca a Joe Biden, sarà quella di portare a casa ancora qualche centinaio di soldati dai due principali teatri di guerra asiatici: Iraq e Afghanistan.
Scopo dell’operazione è portare il personale di servizio americano nei due Paesi a 2.500 per ciascuno: il che comporterà il rientro di 500 militari dall’Iraq e di 2.500 dall’Afghanistan.
Le disastrose guerre iniziate rispettivamente nel 2003 e nel 2001, a seguito degli attacchi terroristici negli Stati Uniti dell’11 settembre, rimangono una spina nel fianco della politica estera americana. A fronte di successi iniziali effimeri ma dal grande effetto mediatico (si pensi all’abbattimento della statua di Saddam e alla condanna a morte per quest’ultimo, in Iraq, e alle prime elezioni in Afghanistan) per i due Paesi invasi si è aperta una fase tragica. Fatta di centinaia di migliaia di morti, di distruzioni immense e di un caos generalizzato con la proliferazione di quei gruppi terroristici di matrice islamica contro cui, ironia della sorte, le operazioni erano state avviate.
Il Segretario della Difesa americano, Chris Miller, ha salutato con favore la decisione di Trump, definendola “una mossa responsabile al fine di riportare i [nostri] coraggiosi soldati a casa”. Per contro, il Segretario NATO, Stoltenberg, ha invece messo in guardia dall’abbandonare ulteriormente a sé stesso un Paese ancora ostaggio della violenza quale l’Afghanistan, che “potrebbe diventare nuovamente una piattaforma per lanciare attacchi da parte di gruppi terroristi internazionali”.
In un Iraq sempre più vicino all’Iran, dopo le devastazioni degli ultimi anni provocate dall’ISIS con la complicità delle grandi potenze sunnite del Medio Oriente, l’annuncio dell’ulteriore ritiro USA è stato “salutato” con razzi sparati vicino all’ambasciata americana di Baghdad, nella cosiddetta green-zone.
In Afghanistan, invece, dove nonostante i continui accordi di pace è ancora in atto una guerra civile “silenziosa” che causa circa 10.000 morti all’anno, si avverte il desiderio da parte di Washington di chiamarsi fuori da quello che è a tutti gli effetti un pantano geopolitico. E che aspetta il nuovo Presidente come una delle peggiori gatte da pelare di tutta la politica estera a stelle e strisce.
Federico Kapnist