Se il vaccino promette una cura per il Covid, per il lavoro, le imprese e l’economia è evidente che non sia ancora stata trovata una soluzione miracolosa, anzi in tanti temono che questa situazione di difficoltà si protrarrà fino al 2021 inoltrato.
L’Istat ha di recente realizzato uno studio su un campione di 90 mila imprese, delle quali 6 mila in Veneto. La fotografia restituisce le enormi pressioni a cui è sottoposto il nostro sistema produttivo, anche se bisogna dire che nel Nordest la situazione registrata è, anche se di poco, migliore della media italiana.
Per quanto riguarda i numeri, il 20% delle imprese è parzialmente aperto con limitazioni all’attività, il 7% è chiusa e di queste lo 0,08% sa che non riaprirà, in particolare nei settori della ristorazione, del commercio al dettaglio, nelle attività sportive e di intrattenimento, nei servizi alberghieri e ricettivi. Dati che in percentuale non sembrano preoccupanti, ma che descrivono una realtà drammatica, fatta di migliaia di persone che perderanno il posto di lavoro.
La maggior parte delle imprese hanno registrato fatturati di molto inferiori al 2019, mentre altre sono rimaste a galla, ma ci sono anche aziende, circa il 12% che in questo periodo sono cresciute, parliamo ad esempio di De’ Longhi che ha incrementato la vendita dei piccoli elettrodomestici da cucina, (anche sull’onda dell’ansia da panificazione degli Italiani durante il primo lockdown) o di Stevanato Group, pronta ad assumere 150 persone per produrre vetro sterile per uso sanitario e quindi per i vaccini anti-Covid.
In questa “lotta per la sopravvivenza” il Veneto si piazza bene, secondo solo alla provincia di Trento; l’Istat segnala in recupero in particolare costruzioni, chimica ed industria. Stabile anche il commercio, a differenza di turismo e ristorazione che hanno avuto le perdite maggiori.
Per rispondere a questo momento di emergenza, le aziende sono ricorse in particolare: ad un aumento del debito bancario, in parallelo ai prestiti garantiti dallo Stato (33%), alla modifica dei termini di pagamento con i fornitori (17%), o ad un taglio degli investimenti (27%) e alla cassa integrazione (41%).
Quello che impedisce una vera e propria ripresa, è il perdurare di un clima di incertezza anche per il prossimo anno, con più della metà delle aziende che vedono gravi diminuzioni di fatturato, altri che prevedono invece cali più contenuti, mentre solo il 15% ha previsioni positive.
Un’azienda su tre, il 28%, segnala rischi operativi e di sostenibilità, il 27% seri problemi di liquidità, il 40% teme per le vendite sul mercato italiano e il 14% sul mercato estero, in totale il 17% delle imprese italiane “è a rischio sopravvivenza”, secondo l’Istat.
“Abbiamo di fronte una ripartenza lunga – dice Giulio Pedrollo, Ad dell’omonimo gruppo e già vicepresidente di Confindustria -.Confido nel vaccino anche in chiave di rilancio della fiducia. Sui mercati internazionali vediamo una ulteriore spinta alla regionalizzazione già in atto. Il punto per le nostre aziende è come affrontare la sfida di avere piattaforme multilocalizzate. Impossibile da affrontare per le più piccole, a meno di mettersi insieme in filiere ed aggregazioni”.
L.M.