Da Donald Trump, lo abbiamo capito, è lecito aspettarsi qualsiasi cosa. E le ultime indiscrezioni che vedrebbero il Presidente americano concedere la grazia a Julian Assange, non fanno altro che confermarlo.
Il fondatore di WikiLeaks è divenuto celebre nell’ultimo decennio per aver reso pubbliche conversazioni segrete di leader mondiali e smascherato, relativamente agli Stati Uniti, azioni illegali e crimini di guerra commessi in Afghanistan ed in Iraq.
Dopo aver vissuto per anni, come rifugiato politico, all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, Assange l’anno scorso è stato poi costretto ad abbandonare il suo “rifugio” in seguito ad una disputa sorta tra il paese sudamericano e Londra. Attualmente si trova in carcere in Inghilterra, in attesa della decisione sulla sua estradizione verso gli Stati Uniti che, in quel caso, potrebbe voler dire il carcere a vita in base alle violazioni dell’Espionage Act.
Assange si trova da anni al centro del dibattito: per alcuni è un paladino della libertà di stampa, per altri un criminale ed una spia, che ha diffuso segreti confidenziali mettendo in pericolo la sicurezza nazionale.
Per Trump, oramai a fine mandato, concedere la grazia ad Assange potrebbe essere un ultimo e significativo atto. Per l’importanza che riveste un gesto come il perdono, certamente, ma anche per fare uno sgambetto al presidente entrante, Joe Biden. Assange, in passato, si era infatti distinto per aver smascherato email compromettenti sul Partito Democratico; e Biden non ha mai fatto mistero di definire il giornalista australiano un “terrorista high-tech”.
Il movimento a favore della liberazione di Assange negli Stati Uniti sta crescendo e conta ora tra le sue fila anche l’ex governatrice dell’Alaska, Sarah Palin, esponente di spicco del Partito Repubblicano.
Federico Kapnist